C’è un anticorpo contro il prione

“Una base importante per future ricerche volte a sviluppare vaccini contro le malattie da prioni negli animali e nell’uomo”. Così hanno definito la loro scoperta Adriano Aguzzi e Frank Heppner dell’istituto di Neuropatologia dell’università di Zurigo durante una conferenza stampa svoltasi il 7 settembre a Zurigo. Buttano acqua sul fuoco i due ricercatori che non vogliono sentir parlare di vaccino contro la mucca pazza pronto in pochi anni. Il cammino è ancora lungo e impervio. Ma il risultato ottenuto nei laboratori svizzeri, e pubblicato oggi su Science, è comunque di tutto rispetto: per la prima volta è stato individuato un anticorpo che protegge dall’infezione gli animali. Indicando – almeno in linea di principio – che il sistema immunitario può essere il difensore naturale dell’organismo anche nel caso delle malattie da prioni, come la scrapie nelle pecore, l’encefalopatia spongiforme dei bovini (Bse) e la Creutzfeldt-Jakob nell’uomo.

In particolare, l’esperimento ha interessato topi modificati geneticamente in modo da produrre l’anticorpo denominato 6h4 che, legandosi ai prioni sani – proteine normalmente presenti nell’organismo – non permette a quelli alterati di moltiplicarsi. Le encefalopatie spongiformi, infatti, sono causate proprio dalla degenerazione dei prioni che, una volta entrati in contatto con quelli mutati, modificano a loro volta la propria struttura, distruggendo così in maniera graduale in tessuto cerebrale. E proprio la naturale presenza, nella versione sana, di queste proteine nell’organismo impedisce al sistema immunitario di riconoscere la forma degenerata e quindi di combatterla. Di fronte a questo ostacolo si era fermata finora la ricerca di un vaccino. Aguzzi e colleghi sono però riusciti a individuare un anticorpo che impedisce la contaminazione. “Non è ancora chiaro il meccanismo con cui l’anticorpo protegge dalle malattie da prioni”, ammettono i ricercatori. “In base ai primi esperimenti sembrerebbe che, legandosi ai prioni normali, gli anticorpi li nascondano a quelli patologici”.

“Nell’esperimento”, hanno spiegato gli scienziati, “è stata mimata una situazione paragonabile a quanto accade in una vaccinazione, nella quale cioè il sistema immunitario produce anticorpi contro un invasore”. Gli scienziati hanno inoculato nei topi geneticamente modificati dei prioni mutati ottenendo un duplice risultato: gli animali non hanno evidenziato una malattia autoimmune, il loro organismo cioè non ha rifiutato gli anticorpi prodotti “forzatamente”, e non hanno neanche sviluppato la malattia. Proprio come se fossero stati vaccinati. “Adesso sappiamo che è possibile insegnare al sistema immunitario ad attivare risposte contro i prioni”, è andato avanti Aguzzi. “I nostri risultati dimostrano che è possibile sviluppare un vaccino, ma non sappiamo quando. Quella di oggi è una data importante, ma è solo il primo passo”.

Il vaccino quindi è ancora lontano. Incerti anche i tempi in cui si potrebbe registrare un forte aumento dei casi della variante di Creutzfeldt-Jakob (vCjd) nell’uomo. “Tutto dipende dal periodo di incubazione della malattia”, ha spiegato Aguzzi. Se fosse di 10 anni, l’epidemia potrebbe essere piuttosto contenuta e avere il picco nel prossimo anno. Ma potrebbe anche essere di 20 anni, e allora l’epidemia sarebbe molto più estesa, e il picco nel 2006. Proprio per avere un’idea precisa dell’incidenza della malattia nella popolazione l’istituto di Neuropatologia di Zurigo sta mettendo a punto per l’intera Svizzera un programma di screening che dovrebbe partire nel gennaio 2002: saranno condotti test su tonsille e linfonodi – ossia i tessuti in cui si annidano i prioni alterati – su persone vive e in maniera del tutto anonima.

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