Grazie a una diversa gestione nella produzione, l’industria mondiale del cemento potrebbe ridurre entro il 2050 le proprie emissioni del 90 per cento, secondo il rapporto “A blueprint for a climate friendly cement industry”, presentato dal Wwf in occasione del vertice sul clima che si tiene in questi giorni a Poznan. E questo investimento, inoltre, aumenterebbe la competitività delle aziende. Una posizione ben diversa da quella dell’Italia e dell’Europa dell’Est, che ritengono troppo alto il prezzo da pagare raggiungere gli obiettivi del Protocollo di Kyoto.
Per produrre una tonnellata di cemento sono necessarie oggi in media 0,89 tonnellate di CO2, per cui non sorprende che il settore del cemento sia attualmente responsabile, da solo, dell’8 per cento delle emissioni globali. Si prevede addirittura che la domanda di cemento arriverà nel 2030 al valore di cinque miliardi di tonnellate, sulla scorta dei dati forniti dalla European Cement Association, dallo US Geological Survey (Usgs) e dall’International Energy Agency (Iea).
Ma come possono le industrie ridurre emissioni e costi? Anzitutto tramite l’impiego di fornaci più efficienti per la produzione della calce, ma anche diminuendo di due terzi il consumo dell’elettricità, grazie a sistemi di recupero del calore e a una maggiore efficienza delle apparecchiature. Ulteriori benefici si otterrebbero inoltre se nelle fornaci si aumentasse l’uso delle biomasse come combustibili. Oppure utilizzando cemento di migliore qualità, e quindi di maggiore durata, con conseguente riduzione della domanda. Infine, se per le miscele si usassero additivi e surrogati, le emissioni di CO2 si ridurrebbero del 32 per cento. (f.g.)
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