Riconoscere il cibo a cent’anni: ecco come funziona la memoria semantica

(Foto: Istock/Sissa)

(Sissa) – Le esperienze ripetute nel corso della vita modellano la nostra memoria semantica, ossia la nostra conoscenza relativa a oggetti ed eventi. E questo riguarda anche le nostre abitudini alimentari: il tipo di cibo che si è consumato durante il corso della propria vita è quello che si riconosce con maggiore accuratezza. Lo dimostra uno studio che ha coinvolto anziani di diversa età e un gruppo di centenari, condotto da un team di ricerca della Sissa, coordinato da Raffaella I. Rumiati, con la collaborazione del progetto CAT (Centenari a Trieste).

Nella ricerca, appena pubblicata sulla rivista Scientific Reports, l’equipe di scienziati ha confrontato il riconoscimento di cibi naturali (quali pomodori, mele o melanzane) e trasformati (quali hamburger o pizza) di tre gruppi di individui anziani di età diverse con le loro abitudini alimentari. Il risultato principale è che il gruppo dei più anziani, composto da persone tra i 100 e i 108 anni, riconosceva e nominava con maggior accuratezza i cibi naturali, gli stessi che per tutta la loro vita hanno costituito la base della loro dieta, rispetto a quelli trasformati a cui, per ragioni di età, sono stati meno esposti. I gruppi di anziani più giovani, invece, hanno mostrato un comportamento opposto, conforme alle loro abitudini alimentari. Questi risultati gettano una nuova luce sulla comprensione di come funziona la nostra memoria semantica. Questo tipo di memoria, come questa ricerca attesta, si formerebbe anche grazie all’esperienza accumulata nel corso della vita. Inoltre, secondo quanto dimostrato dal gruppo della Sissa, la memoria semantica sembrerebbe rimanere stabile fino a tardissima età tendendo a decadere solo nella decima decade di vita.

“La memoria semantica è un magazzino che ci permette di acquisire e conservare informazioni su fatti, episodi e conoscenze astratte. Il modo in cui sono organizzate le conoscenze su ciò che ci circonda ci permette non solo di dare un significato e un nome a quello che abbiamo già incontrato nella vita ma anche a comprendere più facilmente stimoli ambientali”, spiega Miriam Vignando, prima autrice della ricerca. “Si differenza da quella episodica, che è invece associata a specifici accadimenti della nostra vita, alla rievocazione di fatti personali, di eventi successi nel passato”. Continua la ricercatrice: “Pochi studi hanno finora indagato il ruolo dell’esperienza nell’organizzazione della memoria semantica: questo è ciò che abbiamo cercato di fare con questo lavoro”.

“Per lo studio, abbiamo scelto di concentrarci sul cibo per la sua rilevanza biologica e per il fatto che il suo consumo, anche per tipologia, è cambiato nel corso del tempo. Ciò che mangiava chi è nato negli anni 10 del ‘900 è indiscutibilmente diverso dalla dieta di chi è nato nei decenni successivi”, spiega Vignando. “Questo ci ha permesso di fare un raffronto tra gruppi distinti per periodo di nascita e per esperienze alimentari diverse”. Gli scienziati hanno arruolato tre gruppi di partecipanti: del primo facevano parte quelli dai 54 ai 74 anni, il secondo dai 75 ai 91, il terzo dai 100 ai 108. A ciascuno di essi sono quindi stati sottoposti dei test psicolinguistici che includevano come stimoli alimenti differenti; inoltre, ai centenari e a un sottogruppo di 37 tra gli anziani più giovani, è stato chiesto anche di riportare le abitudini alimentari di una vita.

“Stando alla loro testimonianza, la dieta dei centenari ha sempre compreso una maggior quantità di cibi naturali. Questa consuetudine si riflette nella loro capacità di nominare con maggior accuratezza proprio questi ultimi, rispetto a quelli trasformati, con cui hanno avuto meno contatto nel corso della loro vita”. Gli altri due gruppi mostravano il comportamento opposto, ovvero se la cavavano molto meglio con i cibi trasformati che sono stati più spesso frequenti nella loro dieta: “Questo significa che il contesto culturale, le abitudini e le esperienze seguite per molti anni possono influenzare la nostra memoria semantica, anche attenuando delle caratteristiche biologicamente determinate, come la propensione verso il cibo trasformato, forse in virtù di un più alto apporto calorico” spiegano Miriam Vignando e Raffaella Rumiati.

Al contrario della memoria episodica, che con l’andare degli anni tende a declinare, la funzionalità della memoria semantica si riteneva non venisse significativamente compromessa fino a un’età molto avanzata. Lo studio della Sissa ha confermato ed esteso questo dato indagando tale abilità in un campione di centenari: “Nel nostro studio abbiamo osservato che dai 90 anni in poi, si assiste a un declino piuttosto evidente e pronunciato anche di questa funzione. Capire come la memoria semantica cambia con l’avanzare degli anni è particolarmente importante perché un eventuale indice del suo declino potrebbe essere usato come un possibile indicatore dell’insorgenza di malattie neurodegenerative”.

Riferimenti: How experience modulates semantic memory for food: evidence from elderly adults and centenarians; Miriam Vignando, Marilena Aiello, Francesco Foroni, Gabriella Marcon, Mauro Tettamanti, Raffaella I. Rumiati; Scientific Reports

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