Come ti smontoil meteorite

Contrordine. Niente micro-batteri fossili nel meteorite piovuto da Marte sulla Terra 13 mila anni fa. Quelle che nell’agosto del 1996 erano finite sulle prime pagine di tutti i giornali come le prime possibili prove dell’esistenza di vita sul Pianeta Rosso non sarebbero altro che micro-fratture nel minerale del meteorite. Almeno secondo tre ricercatori della Case Western Reserve University, del Georgia Institute of Technology e dell’Università del Tennessee che hanno pubblicato i loro risultati sull’ultimo numero di Nature. Ralph Harvey, John Bradley e Hap McSween hanno ripetuto gli esperimenti usando esattamente le stesse tecniche che nell’agosto dell’anno scorso avevano fatto gridare all’extraterrestre. Ma loro le tracce di una possibile attività biologica non le hanno trovate.

La faccenda è delicata. Tanto che, caso piuttosto raro per la prestigiosa rivista inglese, accanto all’articolo dei tre americani sono state pubblicate anche le risposte del Johnson Space Center e della Stanford University, i laboratori che sostengono di aver trovato i famosi micro-fossili. Ed è certamente comprensibile che chi pensa di aver finalmente trovato ET, anche se solo sotto forma di batterio fossile, non rinunci facilmente all’idea. Ma facciamo un passo indietro e partiamo dall’inizio di questa storia.

Il protagonista di tutta la vicenda si chiama ALH84001. E’ un misterioso meteorite trovato nelle Allan Hills, in Antartide, nel 1984. Si pensa che sia rimasto sotto la neve per 13 mila anni. Ma da dove arriva? Ci vogliono quasi 10 anni perché gli scienziati riconoscano la sua origine marziana. Infatti la sua composizione è piuttosto differente da quella degli altri meteoriti piovuti da Marte. Differente e unica. Anzi, come scrive Harvey sul suo sito, per gli studiosi un campione come quello è “un sogno che si fa realtà”. Perché oltre al minerale principale, l’ortopiroxene, il meteorite contiene anche minerali secondari. E proprio studiando i minerali secondari gli scienziati possono risalire alle condizioni in cui si sono formati. Insomma, ALH84001 è uno spiraglio aperto sulle condizioni della superficie di Marte 3,9 miliardi di anni fa, o forse di più, quando il meteorite si è formato.

Ma il vero “coup de theatre” arriva nell’agosto del 1996. Durante una conferenza stampa organizzata dalla Nasa alcuni ricercatori del Johnson Space Center e dell’Università di Stanford annunciano al mondo che il meteorite racchiude un vero e proprio tesoro. Sono delle microscopiche formazioni a forma di sigaro la cui composizione farebbe pensare a una possibile attività biologica. Insomma, concludono entusiasti i ricercatori, sarebbero i resti fossili di micro-batteri vissuti sul Pianeta Rosso miliardi di anni fa. L’emozione è grande. Anche perché, ricordiamolo, mancano pochi mesi al decollo del Mars Pathfinder che si poserà sul suolo marziano il 4 luglio dell’anno successivo. Quale miglior viatico per la missione destinata ad aprire un ciclo pluriennale di esplorazioni sul nostro grande vicino? Ora la “corsa a Marte”, che naturalmente aveva già tra i suoi scopi la ricerca di possibili tracce di vita, parte con speranze e auspici ben più tangibili.

Per la verità qualche dubbio era arrivato già allora. Qualcuno aveva obiettato, per esempio, che quei presunti fossili erano troppo piccoli: batteri di quelle dimensioni non avrebbero potuto contenere abbastanza Dna. Gli stessi Harvey, Bradley e McSween avevano pubblicato un articolo in cui sostenevano che quelle formazioni avevano un’origine geologica, e non biologica. Critica non valida, rispondevano da Stanford e dal Johnson Space Center. Harvey e compagni hanno usato tecniche di analisi diverse. E’ quindi possibile che non trovino gli stessi risultati.

Critica valida, deve aver pensato Harvey. Che ben lungi dal rinunciare alla sua teoria, ha deciso di ripetere gli esperimenti usando passo passo le tecniche dei suoi colleghi concorrenti. Ma ancora una volta niente tracce di batteri. I candidati sembrano sì nano-fossili a forma di sigaro, ma basta ruotare un po’ il campione, osservarlo sotto un angolo diverso, ed ecco che appaiono come semplici micro-fratture sulla superficie del minerale. Ma c’è di più. L’abbaglio potrebbe essere dovuto, almeno in parte, alle stesse tecniche usate per studiare il campione con il microscopio elettronico. “Non è la prima volta che presunti nano-fossili trovati nelle rocce sono in realtà un’illusione”, ha dichiarato John Bradley, “a volte anche la natura mostra un perverso senso dell’umorismo”.

Parola fine dunque sui batteri fossili di ALH84001? “Non possiamo dire di aver piantato l’ultimo chiodo nella bara”, afferma Harvey con umorismo altrettanto “naturale”, “ma il nostro articolo mostra che queste formazioni sono incredibilmente complesse e che è molto pericoloso trarre qualsiasi conclusione solo da qualche immagine presa qui e là”.

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