Poche donne nei convegni scientifici

(Credits: via Pixabay)

Ricercatrici discriminate in quanto donne. Una percezione diffusa che nel campo delle neuroscienze ha trovato conferma: dal 2015 il sito BiasWatchNeuro ha raccolto i dati di più di 60 convegni svoltisi negli Stati Uniti e, in circa metà dei casi, il numero di relatrici era nettamente inferiore a quanto prevedibile sulla base della quota di scienziate attive nel campo. Risultati che non stupiscono Marina Rizzo, neurologa, che si dice perfettamente a corrente della situazione, anzi in Italia è anche peggiore”, racconta a Galileo. Una realtà frustante che nel 2012 ha convinto Rizzo e la collega Maria Grazia Piscaglia a dare il via a Donne in Neuroscienze, progetto che si occupa, tra l’altro, di uguaglianza di genere nelle carriere e dell’organizzazione di eventi di formazione multidisciplinare. Eventi in cui le relatrici sono prevalentemente donne, come quello tenutosi la scorsa settimana a Milano.

“In Italia esistono una serie di problematiche che portano alla mancanza di pari opportunità, ma la questione principale è che le posizioni di vertice sono per la maggior parte occupate da uomini. Sono uomini a occuparsi dell’organizzazione di convegni o a gestire l’attività scientifica di società e istituzioni, anzi molte società scientifiche non hanno nemmeno donne nei consigli di amministrazione. è una lobby maschile a decidere” commenta Rizzo.

Ma un bias di genere, seppure inconscio, nella scelta dei relatori può avere importanti conseguenze sulla carriera di una scienziata. Secondo Yael Niv, neuroscienziata presso l’Università di Princeton e fondatrice di BiasWatchNeuro, presentare le proprie ricerche nei convegni è fondamentale per farsi conoscere e, quindi, avere più probabilità che le pubblicazioni siano accettate e i grant assegnati. “La situazione è ancora più critica in ambito clinico, un mondo in cui primari e dirigenti sono quasi solo uomini ed emergere per le donne è difficile”, afferma Rizzo.

Non si tratta solo di pari opportunità, non dare voce alle studiose significa anche privare la ricerca di contributi potenzialmente rilevanti e originali, continua la neurologa: “Non chiediamo le quote rosa, non ci servono. Noi siamo presenti e ci siamo rese visibili ma vogliamo essere valutate in base ai nostri meriti. Così abbiamo deciso di costituire la Società Italiana di Medicina di Genere nelle Neuroscienze (S.I.ME.GE.N), dove saranno ammessi sia donne che uomini esclusivamente sulla base delle loro competenze”.

Donne in Neuroscienze si occupa infatti anche di medicina di genere, perché, come spiega Rizzo, maschi e femmine non sono uguali neanche nella malattia: “Le donne sono vittime di patologie peculiari del loro genere, come i casi di ictus nelle trentenni fumatrici che assumono anticoncezionali o le cefalee in gravidanza”.

Irene Campagna

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