Cosa sappiamo sulla Luna, a 50 anni dallo sbarco

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(foto: Nasa.gov)

20 luglio 1969: l’essere umano mette piede per la prima volta sulla Luna. Sono passati 50 anni. 50 anni in cui, proprio come ha fatto fin dagli albori della nostra specie, la Luna ha continuato ad affascinarci e a interrogarci. Oggi, forse, più di quanto abbia mai fatto. Quando e come è nato il nostro satellite? È sempre stato così, butterato e grigio? Cosa sappiamo della sua struttura? E ancora, è davvero un corpo celeste morto? Per prepararci ai festeggiamenti per lo storico anniversario dell’allunaggio, a Galileo abbiamo preparato un breve compendio di ciò che sappiamo – o che crediamo di sapere – sulla natura della Luna.

L’origine della Luna

Che fai tu Luna in ciel? Dimmi, che fai, Silenziosa Luna? Si chiedeva Leopardi. E in effetti, che ci fa lì? Da dove è venuta? L’origine della Luna è un argomento che sul piano scientifico tiene banco tra gli astronomi da oltre un secolo. Perché tutto quello che abbiamo (e che probabilmente avremo mai) sono ipotesi, più o meno accreditate, più o meno supportate da dati e simulazioni al computer. Tra l’idea che sia un pezzo di Terra staccatosi per via della forza centrifuga (teoria della fissione) o un oggetto originatosi in un’altra parte dell’Universo e catturato dalla gravità del nostro pianeta (teoria della cattura), oggi la teoria più accreditata è che la Luna sia nata dai detriti formatisi dal gigantesco impatto tra la Terra e un altro corpo celeste grande quanto Marte (Theia). Ci sono però tantissimi fattori da tenere in considerazione e a volte basta che emerga un nuovo elemento per rimettere tutto in discussione. Anche la teoria dell’impatto, infatti, solo pochi anni fa sembrava scricchiolare. C’era chi si chiedeva come mai la Luna assomigliasse così tanto alla Terra dal punto di vista della composizione chimica, quando invece – proprio per le dinamiche degli urti simulati – avrebbe dovuto differire molto e assomigliare di più all’ipotetico Theia. La questione aveva suscitato tanto interesse che a un certo punto le riviste Science e Nature sembravano fare a gara per pubblicare lavori scientifici che risolvessero l’inghippo. Recentemente un punto significativo a favore della teoria dell’impatto è stato segnato da uno studio di Yale, secondo cui la similarità isotopica tra la Terra e la Luna sarebbe dovuta al fatto che all’epoca dello scontro tra la Terra e Theia (cioè oltre 4,5 miliardi di anni fa), nessuno dei due corpi era completamente solido. Anzi, la Terra primordiale in particolare probabilmente era ricoperta da un oceano di magma caldo, e proprio da questo, scaraventato in orbita, si sarebbe formata la Luna.

La superficie lunare

Niente formaggio, dunque. Come abbiamo detto la crosta lunare ha una composizione chimica molto simile a quella della Terra, tant’è che nei campioni riportati sul nostro pianeta dalle missioni Apollo della Nasa solo tre nuovi minerali sono stati trovati. Gli elementi più abbondanti sono ossigeno, ferro e silicio, mentre carbonio e azoto sono presenti solo in tracce. La superficie lunare, comunque, non è omogenea, né nella composizione né nella conformazione (ci sono catene montuose, mari, crateri, etc) e nemmeno per età (ci sono strutture più antiche e altre più recenti). Ciò fa sì che non sia proprio grigia come la vediamo dalla Terra, con al massimo degli effetti chiaroscurali. La Luna in realtà è a colori, dal rosso al blu. Sfumature, certo, magari non troppo accentuate, ma che riflettono le diverse caratteristiche delle varie zone della crosta.

Le zone che percepiamo come più chiare vengono chiamate terre e sono percorse da catene montuose e da solchi, mentre le aree più scure sono i mari. Questi ci appaiono come enormi distese pianeggianti, dalla forma circolare, ma non sarebbero altro che crateri, probabilmente generati da meteoriti, il cui impatto col satellite avrebbe provocato la fuoriuscita di lava dagli strati più profondi (da qui il colore più scuro dei mari) al tempo (cioè tra 4,5 e 4,3 miliardi di anni fa) non ancora raffreddatisi. L’ipotesi per cui possano esser crateri vulcanici, invece, non convince i ricercatori: troppo grandi (il cratere Copernico, per esempio, copre la distanza tra Verona e Padova) e distribuiti un po’ troppo a caso. C’è un altro fatto che fa propendere per la teoria dell’impatto di meteoriti: quando le sonde che orbitano intorno alla Luna si trovano in corrispondenza di alcuni dei mari lunari, il loro moto si altera. Sembrano infatti esserci anomalie nella gravità, come se vi fossero delle grosse masse concentrate in quei punti. Questi mascon (mass concentration), così come vengono chiamati, potrebbero corrispondere proprio a ciò che rimane dei meteoriti precipitati sulla Luna, oppure, come suggerisce uno studio del 2013 a modificazioni locali della densità della crosta lunare conseguenti agli impatti.

Va ricordato, infatti, che sulla Luna non c’è atmosfera (i gas sono sfuggiti alla debole gravità lunare), per cui i meteoriti non bruciano come avviene quando precipitano sulla Terra, e gli oggetti celesti raggiungono pressoché intatti la superficie lunare.

L’assenza di atmosfera ha anche altre conseguenze per la Luna. Per esempio c’è un’escursione termica notevole: da punte di 127°C durante il giorno a -173°C durante la notte lunare. Senza atmosfera, poi, non ci possono essere suoni né fenomeni di erosione.

All’interno della Luna

Sono state le missioni Apollo a fornire le informazioni che hanno consentito agli astronomi di farsi un’idea abbastanza precisa di come dovrebbe essere l’interno della Luna. Dall’esterno verso l’interno, il primo strato è quello costituito dalla cosiddetta regolite, cioè sabbie e polveri che possono ricoprire la Luna con uno spessore fino a 20 metri. Tutta la crosta invece misura in profondità 60 chilometri, oltre i quali e fino a 1000 chilometri di profondità si trova il mantello del satellite. Ancora più giù c’è uno strato che gli esperti chiamano astenosfera, costituito da materiale in parte fuso, mentre la zona più interna è il nucleo lunare, fatto di materiale ricco in ferro allo stato liquido all’esterno e solido all’interno a una temperatura intorno ai 1500°C.

(credits: Wikipedia Commons)

L’evoluzione della Luna

Quello che oggi ci appare come una sorta di enorme sasso inerte, potrebbe in realtà essere una finestra sul futuro (ancora molto lontano) della Terra. Per gli esperti, infatti, la Luna costituisce un modello per studiare le dinamiche di formazione e di evoluzione dei pianeti rocciosi come il nostro. Dopo la sua formazione la Luna era un ammasso di materiale incandescente che gradualmente si è distribuito per densità decrescente dall’interno verso l’esterno. Dopo un’infanzia travagliata, costellata da scontri con altri corpi celesti e contrassegnata dunque da un’intensa attività vulcanica, circa 1 miliardo di anni fa la superficie lunare cominciò a solidificarsi e a formare la crosta. Da quel momento, a parte qualche impatto con meteoriti che hanno disegnato la Luna come la conosciamo oggi, l’attività geologica è andata scemando (anche se la sonda Lunar Reconnaissance Orbiter avrebbe raccolto evidenze di attività vulcanica recente in termini geologici, risalenti cioè a soli 100 milioni di anni fa, al tempo dei dinosauri) ed è iniziata una graduale fase di raffreddamento che continua ancora oggi.

I lunamoti

Sebbene oggi la Luna sia considerata geologicamente inattiva, lo è comunque meno di quanto si possa pesare. Il nostro satellite infatti trema. E in base ai dati registrati dai sismografi installati dalle missioni Apollo dal 1969 al 1977, i lunamoti sembrano essere tutt’altro che rari, anche se di intensità ridotta. Sulla Luna si verificano da 600 a 3000 fenomeni sismici all’anno, la maggior parte con una magnitudine inferiore a 2. Negli anni in cui la strumentazione è rimasta attiva, la Nasa ha registrato 12 mila lunamoti, che gli scienziati hanno diviso in quattro categorie sulla base della profondità degli ipocentri.

Nella prima categoria rientrano circa la metà di tutti gli eventi sismici lunari: l’origine è molto profonda, più profonda di quelle dei terremoti (tra 700 e 1200 km) e la magnitudine è bassa (inferiore a 3). Questi lunamoti tendono a ripetersi con un periodo di 27 giorni, al perigeo, facendo pensare che possano essere determinati proprio dalla vicinanza della Terra al satellite. Un effetto marea insomma. Fanno parte del secondo gruppo gli eventi sismici localizzati a profondità ridotte con magnitudine inferiore a 2, probabilmente provocati dagli stress termici lungo piani di frattura nella crosta lunare più superficiale. La categoria tre include i lunamoti scatenati all’impatto con i meteoriti (la Nasa per tarare la strumentazione ha fatto precipitare sulla Luna diverse sonde). Il quarto gruppo, infine, comprende solo 28 lunamoti, ma sono quelli più pericolosi, quelli che potrebbero nuocere agli astronauti e ai futuri insediamenti umani sulla Luna: la magnitudine di questi eventi, il cui ipocentro si colloca a meno di 160 km di profondità, è superiore a 5.

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