Così lo pneumatico è più “verde”

Il liquido lattiginoso, sotto forma di minuscole goccioline, compare non appena si spezzano le radici del tarassaco, il comune dente di leone che cresce rigoglioso nei prati europei. Radici preziose, perché potrebbero rappresentare una nuova fonte di lattice in grado di sostituire quello estratto dall’albero della gomma, nella produzione di pneumatici. Questo almeno è l’obiettivo cui stanno lavorando i ricercatori dell’Istituto Fraunhofer di Biologia Molecolare ed Ecologia applicata (Ime) di Monaco di Vestfalia, che con il progetto Rubin hanno vinto il GreenTec award nella categoria automobility in quanto esempio di impegno ambientale e tecnologia pionieristica: una giuria di sessanta esperti del mondo economico, scientifico e della comunicazione lo ha ritenuto un progetto non soltanto tecnicamente valido, ma anche in grado di affrontare il mercato. E la conferma viene dall’Esposizione dei veicoli commerciali (Iaa) di Hannover, dove Continental, l’azienda tedesca che produce gomme per auto, ha appena presentato Taraxagum, il primo pneumatico il cui battistrada è interamente realizzato con questo innovativo materiale.

Dalle radici della pianta, e in particolare dalla varietà russa (Taraxacum koksaghyz), spiegano infatti i ricercatori del Fraunhofer, è infatti possibile estrarre del lattice di alta qualità, in grado di sostituire efficacemente quello derivato dall’Hevea brasilensis, pianta che, a dispetto del suo nome, cresce principalmente nelle regioni subtropicali dell’Asia e che impiega almeno sette anni prima di raggiungere una produzione soddisfacente. “La produzione di gomma dalle radici del tarassaco, in particolare della varietà russa, è meno legata alle condizioni climatiche, e potrebbe portare alla coltivazione di aree del continente europeo attualmente incolte”, spiega  Andreas Topp, responsabile della divisione Material & Process Development & Industrialization Tires di Continental. Non solo: il tarassaco può essere raccolto ogni anno, l’estrazione del lattice è meno dipendente dalle condizioni climatiche, e dal punto di vista agricolo non richiede grandi attenzioni. Per di più, le piantagioni potrebbero essere poste a poca distanza dagli impianti di trasformazione, riducendo così i costi logistici e l’impatto sull’ambiente. L’azienda tedesca conta di cominciare la produzione in serie di questi pneumatici nel corso dei prossimi 5-10 anni. Per il 2015, invece, sono in programma i primi test su strada delle nuove mescole ricavate dal tarassaco, sui circuiti di prova del Contidrom, vicino ad Hannover e ad Arvidsjaur, in Svezia.

L’idea è dunque quella di sfruttare una pianta assai più comune dell’albero della gomma, facilmente coltivabile a basso costo anche in prossimità degli impianti di produzione europei, per l’estrazione della gomma naturale, che pesa per circa il 40 per cento nella composizione di un pneumatico. Tra i vantaggi del dente di leone c’è anche il fatto di poter effettuare il raccolto ogni anno, indipendentemente dalle condizioni climatiche. E la resa sarebbe comparabile con quella attuale, visto che un albero della gomma impiega almeno sette anni prima di fornire materiale utilizzabile a livello industriale. L’azienda tedesca produttrice di pneumatici ha messo in piedi un impianto pilota a Muenster in grado di processare grandi quantità di gomma naturale derivata dal tarassaco. L’obiettivo di lungo termine è quello di produrre pneumatici per auto, camion e biciclette di qualità non inferiore rispetto agli pneumatici tradizionali, ma con un gradiente di sostenibilità ancora più elevato. 

Ma la sostenibilità delle gomme per auto non passa soltanto per la ricerca di una fonte di lattice naturale alternativa a quella utilizzata sino ad oggi. Uno dei primi problemi da affrontare è infatti quello relativo all’inquinamento generato dal consumo degli pneumatici: le minuscole particelle che si staccano dalla superficie della gomma ogni volta che questa compie una rotazione, per esempio, entrano a far parte del calcolo delle polveri sottili (PM10 e PM2,5). E nel processo produttivo entrano in gioco anche metalli pesanti come zinco, cadmio, piombo, rame, e soprattutto petrolio: per ogni copertone si impiegano 28 litri nella produzione, un litro per il trasporto e la distribuzione, mentre la fase d’uso pesa per 200 litri sotto forma di emissioni di CO2. Il riciclo e il riuso dei materiali toglie appena 8 litri dal conto totale. Una volta dismessi, poi, gli pneumatici rappresentano un problema per lo smaltimento, giacché contengono prodotti dannosi come xilene, benzene, idrocarburi policiclici.

In questo senso, il riuso dei materiali come la gomma naturale potrebbe rappresentare un passo in avanti verso la sostenibilità. I produttori si attrezzano dunque con sistemi di riciclaggio della gomma naturale, come la “Hurricane Machine”, un impianto Continental sorto a Puchov, in Slovacchia, in grado di processare la gomma usata negli pneumatici dividendo i composti granulati di gomma vulcanizzata dai fili di acciaio presenti nel copertone. I composti vengono poi riutilizzati nella produzione.

La strategia per uno pneumatico “verde” deve dunque tenere conto di diversi aspetti. Innanzitutto la sua sicurezza, che deve essere coniugata alle prestazioni (poco rumore, alta capacità di rotolamento), all’uso sostenibile di biomateriali, fino alla possibilità di recupero una volta terminato il ciclo di vita del prodotto. Dunque, dicono da Continental, la sfida è rappresentata dall’uso di nuovi materiali come il lattice da tarassaco, ma anche dalla ricerca di nuovi materiali grazie alle biotecnologie, e dal riciclo e dal riuso di quelli a fine vita.

Credits immagine: Mathias Liebing/Flickr CC

2 Commenti

  1. Il passato che ritorna!
    Da Wikipedia:
    Taraxacum kok-saghyz stato coltivato su larga scala in Unione Sovietica tra il 1931 e il 1950, così come nel Stati Uniti , il Regno Unito , la Germania , la Svezia e la Spagna durante la seconda guerra mondiale come una sorgente di emergenza di gomma quando le forniture di gomma da Hevea brasiliensis nel sud-est asiatico sono stati minacciati. Durante questo periodo di tempo, i più alti rendimenti ottenuti dagli Stati Uniti erano 110 kg di gomma per ettaro, mentre l’URSS raggiunto rendimenti di 200 kg di gomma per ettaro. Con la conclusione della seconda guerra mondiale e il ritorno dei prezzi accessibili di Hevea brasiliensis gomma , per la maggior parte sono stati sospesi i programmi di Kok-saghyz.
    Zone incolte ve ne sono anche nell’Italia Meridionale: perchè non provare anche da noi?

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