Galileo Galilei, l’uomo e lo scienziato

Egidio Festa è un ingegnere che ha lavorato a lungo all’Institut de Physique Nucléaire di Orsay, occupandosi anche di storia della scienza e in particolare di Galileo. In questo suo libro, che va ad aggiungersi ad altri lavori importanti che testimoniano di un recente rinnovato interesse per l’opera dello scienziato pisano – basti qui citare i testi di Annibale Fantoli e Michele Camerota – felicemente si fondono professionalità specifica e sensibilità storica.

Il libro, suddiviso in nove capitoli, segue cronologicamente il percorso biografico e scientifico di Galileo, evidenziandone i momenti salienti, da Pisa a Padova a Firenze, le pubbliche controversie – quali quelle meno note sul galleggiamento   o sulle macchie solari – i tentativi di conciliare astronomia ed ermeneutica sacra, i precetti di Bellarmino e la libertà di ricerca e di espressione, e ancora l’atomismo, l’ostilità dei gesuiti, i rapporti tempestosi con Urbano VIII. E infine “le speranze perdute” con il processo al tribunale dell’Inquisizione, la condanna e l’abiura.

Ma anche, per noi oggi, con la recente cosiddetta riabilitazione di Galileo, operazione di cui l’autore si dichiara fortemente critico, in quanto occasione mancata per la Chiesa di riconoscere le vere responsabilità nella condanna dello scienziato. Fa osservare Festa che il nome di Urbano VIII non compare mai, nè nelle parole del cardinale Poupard, coordinatore della Commissione per la riabilitazione di Galileo, istituita nel 1981, nè in quelle di Giovanni Paolo II. E scrive: “Citare Urbano VIII significava risalire al vero responsabile della condanna ed alla sua posizione filosofica che ancora oggi la Chiesa cattolica rifiuta di esaminare… l’argomento di Urbano VIII rinviava le dimostrazioni degli scienziati, passate, presenti e future, all’onnipotenza divina ed ipso facto al contenuto della Sacra Scrittura. I teologi restavano i soli scienziati degni di fiducia perché abilitati a ritrovare tutte le verità nelle Sacre Lettere”.

La condanna, quindi, come scontro violento fra “verità rivelata e verità faticosamente dimostrata o da dimostrare”. Il che spiegherebbe perchè gli Inquisitori non abbiano mai discusso la teoria delle maree, la quale, giusta o sbagliata che fosse, “conferiva all’astronomia copernicana un realismo che rendeva inquieti i teologi”. Se è vero che ci furono anche altre complesse motivazioni che condussero alla condanna di Galileo – quali ragioni di carattere politico e filosofico, oltre a varie inimicizie – è innegabilmente vero che il nodo fra le due verità non è stato a tutt’oggi risolto dalla Chiesa, come stanno a dimostrare i suoi frequenti dictat in vari campi scientifici, basati su affermazioni prive di qualsiasi supporto razionale.

Il libro, che costruisce via via un ritratto a tutto tondo dello scienziato di cui mette in evidenza la vis polemica e l‘ironia graffiante, si segnala pure per l’attenzione dedicata agli ambienti culturali, agli insegnamenti negli Studi, ai rapporti di Galileo con i rappresentanti della cultura accademica, ma anche alla mentalità dell’uomo della strada, che allora come oggi, preferisce adagiarsi su credenze prefabbricate, piuttosto che confrontarsi con il nuovo. L’autore – si vedano per esempio le divertenti pagine dedicate alla Dianoia astronomica di Francesco Sizzi che argomentava contro l’esistenza dei satelliti di Giove sulla base del ruolo attribuito al numero 7 – evidenzia come argomenti che a tutti noi risultano oggi risibili rappresentavano “un tipo di conoscenza che aveva un suo posto nella cultura dell’epoca”, e che erano particolarmente difficili da combattere, proprio perché non avevano alcun addentellato né con l’astronomia né con la filosofia naturale.

Altro pregio di questo Galileo è la disanima accurata che l’autore fa anche delle opere minori dello scienziato, nonché l’ampio ricorso all’epistolario che contribuisce a illuminare dall’interno i fatti narrati.Un solo, ma non irrilevante, appunto. Più volte nel libro Galileo viene definito come fervente cattolico, e viene ribadita la sua sincera adesione ai princìpi della Chiesa.

“Da fervente cattolico qual era – scrive Festa – l’autore [del Dialogo] aspirava sopratutto ad ottenere il riconoscimento delle supreme autorità romane”. Ora, a parte il fatto che negli scritti e nelle lettere di Galileo non si trova un solo accenno di autentica fede religiosa, ma solo formule di rito più volte ripetute – del resto gli amici gli ricordavano che non si è mai abbastanza prudenti e ossequienti con la Chiesa – è ovvio che Galileo avesse bisogno del riconoscimento delle sue idee da parte delle autorità religiose perché ben consapevole che, senza di esso, nell’Italia della Controriforma, sarebbe stato condannato al silenzio, o peggio (Bruno docebat). E a sostegno della sua scarsa propensione religiosa non stanno tanto vari episodi della sua vita – il concubinato, il non frequentare la messa, la spregiudicatezza di alcuni suoi scritti, l’amore per autori poco castigati quali il Boccaccio e l’Aretino, l’irriverenza verso certi gruppi religiosi, l’evidente disagio con cui si muove nel campo dell’ermeneutica sacra (si vedano per esempio le pur interessanti pagine dedicate al commento di Galileo al Salmo 18), la sua diffidenza nei confronti delle derive magico-misticheggianti di Keplero, l’offerta fattagli dalla figlia di recitare al suo posto le penitenze impostegli dall’Inquisizione – quanto la sua stessa conformazione mentale, tipicamente laica e pragmatica, che si muove sempre nel campo di ciò che è verificabile sperimentalmente o logicamente difendibile, e che lo porta a respingere tutto ciò che va oltre la nostra possibilità di esprimere giudizi motivati in proposito. Valgano per tutte le parole stesse di Galileo: “Il tentar l’essenza l’ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti”.

Mi sembra quindi un arrecar torto allo scienziato Galileo attribuirgli una fervida fede religiosa quando tutto lo portava piuttosto a una non pronuncia in merito. Per citare Peter W. Atkins dell’Università di Oxford: “Uno può naturalmente essere uno scienziato e avere credenze religiose. Ma io non penso che allora egli possa essere uno scienziato nel senso più profondo della parola, poiché le credenze religiose sono categorie del tutto estranee alla conoscenza”. E chi mai può dubitare che Galileo sia stato uno scienziato nel senso più profondo della parola?

Il libro

Egidio Festa
Galileo. La lotta per la scienza
Laterza 2007, pp. 344, euro 18,00

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