Se la Chiesa fa mea culpa

A pochi mesi dall’inizio del Giubileo, Giovanni Paolo II fa le prove generali. Nel corso dell’udienza del 1° settembre, ha infatti anticipato la data del mea culpa ufficiale della Chiesa cattolica, prevista per il Mercoledì delle Ceneri del 2000. In attesa di ulteriori rivelazioni, ne approfitta per fare pubblica ammenda “per i peccati dei cristiani”. Una frase a dir poco sibillina, visto che i suoi riferimenti storici non chiamano in causa un cristiano qualunque, ma eminenti porporati che hanno perso di vista la loro missione, come nel caso del silenzio della Chiesa sui crimini nazisti. Tra i vari propositi di pentimento, il pontefice ripropone anche la questione del difficile rapporto tra fede, ragione e scienza. Un argomento che continua ad alimentare un appassionato dibattito tra teologi, filosofi e intellettuali impegnati nei settori più diversi.

Già nell’Enciclica “Fides et ratio”, il tentativo di conciliare gli opposti della conoscenza si era rivelato ambiguo e aperto più ai fraintendimenti che ai chiarimenti. Anche in questa occasione, le polemiche non mancano. Il pontefice sottolinea tra le varie colpe “l’acquiescenza a metodi di intolleranza e persino di violenza al servizio della verità” aggiungendo che “molti lo fecero in buona fede, ma non fu certo evangelico pensare che la verità dovesse essere imposta con la forza”. Dunque una critica dei metodi, non certo dei contenuti: la verità era e resta dalla parte della fede.

Il dogma dell’infallibilità del Papa, impone alla Chiesa di non poter fare marcia indietro su una posizione ormai presa, ma l’evidenza della ragione negata a Galileo Galilei o a Giordano Bruno non può essere discussa solo in termini di metodo. Si tratta di un percorso minato, solcato da grandi dispute: da quella nata intorno alla centralità della Terra – che chiama in causa Keplero, Copernico, Galilei, Giordano Bruno e Newton – alla dualità spirito-materia, che oltre ai grandi filosofi, come Cartesio e Kant, scomoderà persino Einstein. Per non parlare poi della lotta dell’uomo contro le scimmie, ingaggiata direttamente da Adamo ed Eva ai danni di Darwin, quando inorriditi si sentirono dire che il loro nobile progenitore era una scimmia. Come dice Paolo Flores d’Arcais, i propositi di conciliazione del pontefice si tramutano in “una tradizionalissima e inargomentabile riaffermazione della pretesa della Chiesa cattolica apostolica romana al monopolio della verità”.

La poetica immagine descritta da Giovanni Paolo II – “La fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano s’innalza verso la contemplazione della verità” – non basta a cancellare i reciproci pregiudizi. Da un lato quello scientifico, secondo cui la vera conoscenza è solo dalla parte del dubbio e dell’incertezza, e dunque della scienza, mentre le grandi certezze della religione annullano l’impeto conoscitivo. Dall’altro quello papale, secondo cui le verità della scienza sono solo parziali, fattuali, ma la ricerca di una verità ulteriore, che sia in grado di spiegare il senso della vita, “può trovare esito solo nell’assoluto”.

Così scienziati e teologi continuano a contendersi la fiaccola della saggezza e della conoscenza. La verità è quella che può essere provata o quella che fornisce più risposte dinanzi all’improbabile? Il problema, secondo Flores d’Arcais, è tutto in “questo passaggio dalla necessità della domanda alla necessità della risposta”. Sembra che trovare una certezza ultima sia l’esigenza primaria tanto della religione quanto della scienza e, nel far ciò, l’una rinfaccia all’altra i propri limiti. Secondo il Papa, infatti, “uno dei dati più rilevanti della nostra condizione attuale consiste nella crisi del senso”, generata dalla scienza e dalla sua “logica del disincanto” che non possono offrire risposte ultime. E dall’altra parte rispondono che la crisi del senso è motivata dal fatto che ciò che la religione offre non ha alcun senso.

Claude Allègre, nel suo “Dio e l’impresa scientifica” (Raffaello Cortina, 1999), puntualizza che la scienza ha spiegato il “come” dell’evoluzione, ma prevaricando la fede ha escluso il “perché”. Non si ha più il senso delle cose; molti sono alla ricerca disperata di un nuovo credo e ciò alimenta la minaccia di ulteriori fondamentalismi. Siamo davanti a un’inconciliabilità di propositi, ma resta ancora da chiarire perché due entità, che aspirano a verità in fondo così diverse, debbano necessariamente cercare il primato dell’una sull’altra.

Forse l’opinione più equilibrata è quella di Gianni Vattimo, che commenta le posizioni estremistiche dell’una e dell’altra fazione dicendo: “non esiste verità ultima valida per tutti, che la si voglia far discendere dalla ragione o dalla rivelazione”. Ma soprattutto egli si oppone a “quella bestemmia dei due piani (naturale e soprannaturale) e delle due verità (razionale e rivelata) che è all’origine delle peggiori aberrazioni autoritarie e repressive”. Una dualità difficile da sconfiggere, visto che su di essa è fondata l’intera storia del genere umano. Di principio in principio e attraverso tutta una serie di compromessi poco credibili, ci viene quasi il dubbio che si stia cercando di concludere a tutti i costi un matrimonio che “non s’ha da fare”.

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