Cosa ci spinge a controllare così di frequente i nostri smartphone, anche se non aspettiamo nessuna chiamata o messaggio? Una possibile risposta arriva dalla Haas School of Business dell’Università della California-Berkeley, che ha condotto una ricerca sulla cosiddetta scienza della curiosità, concludendo che l’informazione (indipendentemente dalla sua utilità) agisce come una sorta di ricompensa per il cervello, che attiva gli stessi circuiti dopaminergici innescati da cibo, droghe e denaro.
Curiosità: mezzo o motivazione?
Nell’articolo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, i neuroeconomisti Ming Hsu e Kenji Kobayashi hanno sviluppato un metodo per capire cosa sia la curiosità nell’essere umano: un mezzo per raggiungere un fine (cioè ottenere informazioni utili) come sostengono gli economisti, o come vogliono gli psicologi una motivazione innata non per forza finalizzata (per esempio si può essere curiosi del risultato di una partita anche se non ci si guadagna niente)? La risposta che hanno trovato è: entrambe le cose.
Riformulando il quesito in maniera più semplice, perché cerchiamo informazioni?
Per rispondere a questa prima domanda i ricercatori hanno studiato come le persone si comportano quando giocano d’azzardo e hanno la possibilità di comprare un’informazione che potrebbe dare indizi sulle probabilità di vincita. La maggior parte delle persone ha fatto scelte tutto sommato razionali, stimando il valore economico delle informazioni disponibili per ogni scommessa, cioè quanto avrebbero potuto aiutare a vincere. Tuttavia le informazioni venivano spesso sopravvalutate, soprattutto in quelle scommesse con la vincita più alta. Più grande era la posta in gioco, maggiore era la curiosità che ruotava attorno all’informazione, anche se questa non avrebbe potuto dare alcun beneficio o avere effetto sulle decisioni da prendere.
Questo comportamento per gli autori si spiega solo se si integrano il modello economico e quello psicologico della curiosità: le persone acquistavano informazioni basandosi non solo sul loro effettivo beneficio, ma anche sull’anticipazione dei loro benefici.
È come voler sapere se riceveremo una buona offerta di lavoro anche se non abbiamo intenzione di accettarla, ha esemplificato Hsu, e l’anticipazione di una ricompensa piacevole rende l’informazione ancora più preziosa.
Che aspetto ha la curiosità nel cervello?
I ricercatori, poi, hanno studiato le immagini di risonanza magnetica funzionale dei volontari sottoposti ai test per capire come si mostri la curiosità all’interno del cervello. Così hanno scoperto che le aree cerebrali che vengono attivate sono quelle della ricompensa, le stesse che si accendono (rilasciando dopamina) quando si mangia o si assumono droghe. Che poi sono anche quelle coinvolte nelle valutazioni economiche.
Attraverso una tecnica di apprendimento automatico, gli scienziati hanno concluso che il codice neurale utilizzato dal cervello per acquisire informazioni è lo stesso che viene impiegato per fare soldi. E con il giusto algoritmo, addestrato sulle risposte cerebrali a diverse quantità di denaro, si riesce a predire quanto una persona sarà disposta a pagare per avere certe informazioni.
“Possiamo guardare nel cervello e dire quanto qualcuno vuole un’informazione, e quindi tradurre quell’attività cerebrale in importi monetari”, ha concluso Hsu. “Siamo stati in grado di dimostrare per la prima volta l’esistenza di un codice neurale comune per le informazioni e il denaro, che apre la porta a una serie di risvolti entusiasmanti su come le persone consumano, e talvolta consumano troppo, le informazioni”.
Via Wired.it
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