Da Aristotele al Meteosat

Nel corso del XX secolo la meteorologia si è qualificata come una delle branche più attive ed importanti della fisica. In questo periodo le attività umane si sono estese dalla superficie terrestre all’atmosfera, nella quale l’attività di volo è sviluppatissima ed ancora crescente. L’atmosfera è anche diventata una zona di transito per mete spaziali sempre più ambiziose e frequenti. Per queste ragioni la meteorologia ha assunto un importante significato per l’umanità. Oltre alla rapida ed affascinante evoluzione della conoscenza nel settore delle scienze dell’atmosfera vi è oggi un interesse crescente ad attingere, e possibilmente controllare, le immense quantità di energia che in essa sono presenti, e nello stesso tempo a difendere questa risorsa da possibili deterioramenti prodotti dalle stesse attività umane. Essendo aumentata l’importanza delle scienze dell’atmosfera è anche cresciuto l’interesse a fermarsi ed a voltarsi indietro, di tanto in tanto, per tracciare la storia di questa scienza.

Un primo periodo può iniziare da alcuni secoli prima di Cristo fino ad includere il Medioevo. In questo lasso di tempo plurisecolare l’umanità ha preso coscenza di questo aspetto del mondo, cominciando una sorta di elaborazione concettuale che è incentrata sulla autorità intellettuale del più grande filosofo dell’antichità: Aristotele. A lui si deve il primo trattato organico della materia, intitolato Meteorologica, nel quale sono espresse in modo ordinato e sistematico le idee ed i concetti che caratterizzavano, a quel tempo, la conoscenza in questo settore.

Un secondo periodo, dal 1500 circa al 1800, è quello in cui lo sviluppo della fisica mette gradualmente a disposizione, in formulazioni quantitative, i modelli utili ad affrontare una generalità di problemi ed in particolare l’interpretazione della dinamica e dei fenomeni atmosferici. Nascono in questo periodo i primi strumenti meteorologici e, in immediata successione, si sviluppa il desiderio di avviare osservazioni e misure sistematiche in vari siti.

Finalmente nel ‘900 si verifica un complesso di circostanze favorevoli per un veloce sviluppo delle scienze dell’atmosfera: la disponibilità di conoscenze adeguate, mutuabili dalle varie branche della scienza (matematica, fisica, chimica) ed una serie di stimoli che verranno analizzati nel paragrafo che segue.

Lo sviluppo nel ‘900

La meteorologia nei primi decenni del ‘900 si sviluppò in modo relativamente lento sotto la spinta delle esigenze della navigazione marittima e della pesca. Trovò il terreno più favorevole nei paesi scandinavi, particolarmente nella Norvegia, dove nacque, nella città costiera di Bergen, una fiorente scuola di pensiero scientifico dedicata allo studio della genesi e dello sviluppo delle perturbazioni meteorologiche. Lo sviluppo delle scienze dell’atmosfera divenne molto rapido nella seconda metà del secolo sotto la spinta di vari fattori propulsori:

– la necessità di supporto per l’aviazione e per altri settori delle attività umane;

– l’interesse dei grandi paesi (Stati Uniti, Unione Sovietica ed in tempi recenti l’Europa) a sviluppare una conoscenza ed una sorveglianza delle condizioni atmosferiche sull’intero globo terrestre per ragioni militari, politiche ed economiche;

– la spinta dei produttori di supercalcolatori ansiosi di trovare applicazioni utili per i loro prodotti e di essere stimolati a sviluppare macchine sempre più potenti e veloci;

-l’interesse nella tutela dell’ambiente globale;

il progresso tecnologico, con particolare riferimento ai sistemi osservativi.

Il primo degli elementi menzionati è stato molto efficace per l’intero periodo considerato, anche se la ormai scomparsa competizione con il blocco orientale e le difficoltà finanziarie ne hanno ridotto l’intensità. La spinta dei produttori di mezzi di elaborazione è stata sempre vivacissima. A questo fattore propulsivo si è aggiunto negli ultimi decenni anche quello originato dalle industrie che si dedicano al telerilevamento dallo spazio. L’aviazione è stata uno stimolo di grande importanza anche se, in tempi recenti, alquanto indebolito. La tutela dell’ambiente, in particolare di quello dell’intero globo, minacciato dall’effetto “serra” e dal rischio di una possibile diminuzione generalizzata dell’ozono atmosferico, è diventato un forte fattore trainante negli ultimi venti anni.

Nel settore dello sviluppo tecnologico gli elementi propulsivi più rilevanti sono stati:

la disponibilità di calcolatori elettronici e di supercalcolatori sempre più potenti;

– lo sviluppo dell’osservazione da satellite;

– l’introduzione di metodologie di misura dei parametri atmosferici mediante telerilevamento (radar, sodar, lidar, radiometria, spettrofotometria);

– lo sviluppo delle telecomunicazioni.

I supercalcolatori hanno consentito di elaborare modelli a risoluzione sempre maggiore applicati all’intero globo terrestre e di ottenere i risultati della integrazione in tempi ragionevolmente brevi, tali da permettere l’utilizzazione pratica dei prodotti. Le osservazioni da satellite hanno permesso di completare le informazioni e le misure meteorologiche nelle zone oceaniche e sulle porzioni dei continenti meno abitate garantendo così una diagnosi globale delle condizioni atmosferiche ad un momento determinato. Le strumentazioni di telerilevamento hanno integrato le osservazioni convenzionali, fornendo determinazioni tridimensionali di vari parametri molto particolareggiate nello spazio e nel tempo. I recenti sviluppi delle telecomunicazioni hanno offerto la possibilità di diffondere in modo capillare agli utenti i prodotti di varie elaborazioni.

Le scienze dell’atmosfera: le tappe più importanti

Lo scenario evolutivo delle scienze dell’atmosfera nel XX secolo è caratterizzato da alcune tappe principali. Al loro raggiungimento hanno contribuito molti studiosi di primo piano. Una analisi, anche limitata agli apporti principali, esula dagli intenti di questa breve esposizione.

Non si può fare a meno di menzionare per primo lo studioso inglese Lewis Fry Richardson, nato nel 1881, il quale, stimolato da una straordinaria intuizione precorritrice, individuò e risolse le principali difficoltà concettuali che ostacolavano l’impostazione del problema della previsione meteorologica da un punto di vista fisico-matematico. Egli, all’inizio del secolo, comprese che l’atmosfera in movimento, almeno per le scale di moto che interessano la previsione meteorologica, rispettava il principio dell’idrostatica. Su questa base formulò quindi una teoria elegante e sintetica della dinamica atmosferica. Ma non si fermò a questo risultato. Comprendendo le insormontabili difficoltà matematiche che rendevano impossibile una soluzione analitica del problema della determinazione dello stato di moto dell’atmosfera ad un istante futuro, egli immaginò una procedura per l’integrazione numerica del sistema di equazioni da lui proposto. Si trattava di una idea assolutamente rivoluzionaria in un periodo nel quale, non solo non esistevano gli elaboratori elettronici, ma nemmeno erano diffuse le calcolatrici meccaniche! Le applicazioni della sua teoria sono divenute una realtà soltanto negli ultimi trent’anni.

Da un punto di vista del contributo al progresso della conoscenza di base, emergono, ad avviso di chi scrive, molto al di sopra degli altri, Jule G. Charney e Edward N. Lorenz. Il primo per aver svelato l’enigma principale della prima metà del secolo, cioè l’instabilità idrodinamica che nasce dall’esistenza di un gradiente di temperatura lungo i meridiani. E’ questo elemento la causa delle perturbazioni cicloniche delle medie latitudini. Il secondo, con i suoi celebri lavori sulla “prevedibilità dell’atmosfera” e sulle “correnti deterministiche non periodiche”, per aver sviluppato i fondamenti della dinamica del clima ed aver aperto, proprio ispirandosi alla meteorologia, la nuova branca affascinante della fisica-matematica, conosciuta come “teoria del caos” (Gleick, 1989).

Si vuole ora dare uno sguardo a quei contributi scientifici nel settore delle scienze dell’atmosfera che hanno avuto un maggiore impatto nello sviluppo successivo.

Dalla climatologia alla “dinamica del clima”

Il primo storico esperimento di simulazione del clima, con un modello a due strati, è stato realizzato da N.A. Phillips (Pfeffer, 1955). Da questo momento la climatologia, una branca che si dedicava tradizionalmente alla descrizione delle proprietà medie del tempo meteorologico con metodi statistici e/o con una fisica impostata sui “bilanci” (dell’energia e dell’acqua), poteva aspirare a nuove prospettive: si avviava un ricambio generazionale degli scienziati dediti a questa linea di studio.

Intorno alla metà del XX secolo, la disponibilità di modeste risorse di calcolo costrinse gli studiosi ad affrontare il problema dell’atmosfera in movimento con approssimazioni e semplificazioni molto restrittive. Riducendo la generalità delle equazioni si poteva eludere parzialmente il problema della instabilità numerica nei calcoli e rendere possibili le prime applicazioni operative. A questa impostazione (adozione di una relazione ben definita tra campo della pressione e parte non divergente del vento detta “approssimazione quasi geostrofica”) dette un contributo primario Karl Gustav Rossby, un meteorologo svedese, mentre le prime “prognosi” dell’atmosfera in movimento sono legate ai nomi di Jule G. Charney e di John Von Neumann. Quest’ultimo, un insigne studioso di matematica applicata, d’origine europea, progettò e realizzò, presso L’Institute of Advanced Study di Princeton, il primo elaboratore elettronico a programma, progenitore dei moderni computer, guidato dalle esigenze della previsione meteorologica.

Un secondo giro di boa, importante per le notevoli conseguenze applicative nello studio della dinamica atmosferica, fu il passaggio dalla già ricordata approssimazione “quasi geostrofica”, a quella “quasi statica” proposta da Richardson, espressa dalle equazioni primitive del moto con il solo vincolo di un’atmosfera in equilibrio idrostatico. Questo tema è stato molto dibattuto nella letteratura scientifica, ma la prima concreta applicazione è stata descritta da uno scienziato tedesco (Hinkelmann, 1959). Fu in tal modo possibile utilizzare uno schema meno dipendente da condizioni ed approssimazioni restrittive.

I termini non lineari: un problema nato con Eulero

Intorno al 1750 Leonard Euler (Eulero) aveva posto le basi razionali per lo studio della dinamica dei fluidi formalizzando in modo corretto due possibili “punti di vista”: quello “lagrangiano”, consistente nel seguire e descrivere lo stato di moto di una specifica particella di fluido, e quello “locale”, nel quale l’osservatore fisso in un punto misurava le proprietà di moto delle particelle che si avvicendavano su quel punto. Sotto il profilo operativo, il punto di vista locale si presentava più adatto ad una realtà sperimentale, nella quale le misure venivano eseguite in osservatori fissi (le stazioni meteorologiche). Il passaggio dalle equazioni lagrangiane del moto a quelle euleriane implica la introduzione di termini detti “non lineari” (esprimono l’influenza del vento sullo stesso campo del vento). Se non si introducono schemi numerici che garantiscono la conservazione di alcune proprietà del fluido in movimento, il calcolo di questi termini, apparentemente semplice, dà luogo ad una instabilità numerica che impedisce integrazioni per tempi lunghi. Il fenomeno fu analizzato e compreso nel decennio 1950-60 e finalmente, nel 1963, uno studioso giapponese, A. Arakawa, che lavorava presso l’Università di Los Angeles, pubblicò un lavoro nel quale veniva finalmente chiarita la maniera corretta di trattare i termini non-lineari delle equazioni del moto: si apriva la strada per la integrazione numerica estesa a tempi lunghissimi (Arakawa, 1963).

Dopo queste vere e proprie “brecce” nelle difficoltà di computo e nelle angustie della approssimazione quasi-geostrofica, le quali avevano fatto segnare il passo al progresso, gli studiosi poterono avviarsi verso l’approfondimento dei processi fisici, sviluppando la capacita’ di “parametrizzare” alcuni fenomeni, (cioè di esprimere processi a piccola scala in funzione delle grandezze a scale più grandi) con particolare riferimento agli scambi di calore latente, calore sensibile e quantità di moto tra superficie ed atmosfera, ai fenomeni convettivi, ai processi di formazione della pioggia.

In conclusione si può dire che l’avanzamento delle conoscenze e la capacità di modellazione sempre più realistica hanno aperto, nel corso del periodo considerato, la possibilità di studio dell’atmosfera in movimento sull’intero globo terrestre, e hanno avviato la simulazione del comportamento del sistema climatico.

Il contributo italiano allo sviluppo delle scienze dell’atmosfera

Nella prima metà del ‘900 il progresso della meteorologia in Italia seguì tre indirizzi principali:

(a) quello dominante nei primi passi di tutte le scienze naturali tendente a misurare, raccogliere e classificare le grandezze. In questo settore emerge la figura di Filippo Eredia, un infaticabile studioso di climatologia. Egli dette un importante contributo alla conoscenza del territorio nazionale, testimoniato da una mole di lavori tutti dominati da una attenta e ben documentata base di osservazioni (Eredia 1904,1910,1922);

(b) l’indirizzo tendente all’interpretazione fisica dei fenomeni meteorologici, che ebbe alcuni promotori in campo nazionale. Si desidera ricordare Luigi De Marchi, che ebbe, fin dagli ultimi decenni del secolo precedente, alcune felici intuizioni sulla dinamica atmosferica, anticipando il concetto di vorticità e di traiettorie a vorticità costante. In una sua memoria (De Marchi, 1884), intitolata Ricerche sulla teoria matematica dei venti egli concludeva che “lo studio dei fenomeni più caratteristici che accompagnano i cicloni, si può semplificare e generalizzare sensibilmente, con la introduzione del concetto di rotazione idrodinamica”. Un successivo contributo (De Marchi,1886) si riferiva alle traiettorie a vorticità costante, un concetto che sarebbe stato successivamente riproposto e sviluppato poco prima della seconda metà del secolo (Rossby,1940);

(c) la linea di sviluppo che mirava, attraverso l’estrapolazione matematica, alla prognosi del campo della pressione atmosferica. A quest’indirizzo ha dato un notevole contributo F. Vercelli, il quale introdusse la scomposizione in serie di Fourier dell’andamento temporale della pressione in superficie come punto di partenza per l’estrapolazione temporale, realizzando, per questo scopo, un ingegnoso analizzatore grafico (Vercelli, 1918, 1928). Sempre nell’ambito di questa linea si può ricordare Raul Bilancini, ideatore di un metodo per lo studio delle variazioni di pressione atmosferica e per la previsione cinematica del campo della pressione. Metodi ispirati a questa linea di pensiero sono oggi riproposti per indagare sulle interazioni non lineari tra le varie grandezze che caratterizzano l’evoluzione osservata in un sito.

Nella seconda metà del XX secolo, il primo tema che fu considerato in una ricerca coordinata e finalizzata fu quello della “ciclogenesi sottovento alle Alpi”. Una parte non indifferente delle tempeste che raggiungono il Mediterraneo da nordovest subiscono una rivitalizzazione nella zona a sud delle Alpi (più spesso nel Golfo di Genova), e il fenomeno ha poi ripercussioni sull’intero bacino. Fu merito di Giorgio Fea quello di aver promosso e organizzato, intorno a questo problema, sotto gli auspici della NATO, il primo grande progetto di ricerca in cui furono impegnati parecchi studiosi. I risultati costituirono un passo preliminare verso la comprensione dei processi fisici e dinamici alla base del fenomeno, anche se i mezzi di calcolo disponibili in quel tempo non consentirono di modellare matematicamente la evoluzione non lineare degli eventi di questo tipo. Si trattò anche del primo debutto internazionale della “giovane” meteorologia italiana poiché il progetto ebbe come consulenti e garanti insigni meteorologi stranieri, tra cui l’inglese R.C. Sutcliffe, una delle massime autorità mondiali nelle indagini sullo sviluppo ciclonico.

Alcuni anni dopo, lo stesso tema veniva ripreso da un gruppo di giovani scienziati formatisi nell’area bolognese nell’ambito di un programma congiunto tra Università di Bologna e Consiglio Nazionale delle Ricerche, che si avvalse della prestigiosa consulenza di J. G. Charney. Nuovi contributi, consentiti anche dal rapido progresso dei mezzi di calcolo, si aggiunsero ai precedenti, consolidando la valida reputazione internazionale della meteorologia italiana nel campo specifico della ciclogenesi orografica (Tibaldi et al, 1990).

Un altro campo in cui gli studiosi italiani si sono cimentati con successo è stato quello dello studio relativo al fenomeno “acqua alta” a Venezia. L’interpretazione meteorologica di questo complesso fenomeno di interazione tra marea astronomica, campo del vento e mare fu chiarita per la prima volta negli anni ‘70 (Palmieri e Finizio, 1969,1972).

Questa tradizione di studi originali, ispirati dalle esigenze del paese, continuò poi con lo sviluppo di procedure con le quali si perfezionavano, con metodologie statistiche avanzate, i risultati dei modelli numerici di prognosi del tempo, tenendo conto degli effetti locali, con particolare riferimento a quelli imputabili all’orografia (De Simone e Finizio, 1985).Non sono mancati contributi italiani nel settore dei sistemi osservativi: ad esempio, il primo radar ottico (LIDAR) al mondo per la detezione degli aerosol atmosferici, fu realizzato e sperimentato da Giogio Fiocco intorno agli anni ‘60.

Come si può facilmente immaginare, una valutazione storica del contributo italiano alle scienze dell’atmosfera nel periodo considerato, e in particolare negli ultimi due decenni, durante i quali il numero dei lavori pubblicati è immensamente aumentato, richiederà ancora parecchi anni di decantazione.

L’evoluzione delle strutture nazionali

Intorno alla metà del secolo le risorse finanziarie nel settore delle scienze dell’atmosfera e della meteorologia sono prevalentemente quelle degli Stati Uniti. Verso la fine degli anni ‘70 si ha un risveglio dell’Europa e si profila l’interesse della Comunità Europea per le applicazioni della meteorologia, con particolare riferimento al supporto all’agricoltura. Nel decennio successivo questa tendenza si concreta nella nascita di un ente europeo (European Centre for Medium Range Weather Prediction – ECMWF), con il compito di fornire ai paesi membri campi previsti delle grandezze meteorologiche per periodi di 3-10 giorni. Ben presto compare un altro ente internazionale europeo, l’EUMETSAT, con l’incarico di gestire le attività satellitarie operative per la meteorologia. Affluiscono dunque alle scienze dell’atmosfera risorse che, considerate rispetto a quelle del precedente periodo, appaiono molto grandi.

In tempi più recenti, a partire approssimativamente dal 1985, le politiche restrittive dei governi fanno diminuire ovunque gli investimenti per la ricerca in scienze dell’atmosfera, con una conseguente riduzione dei posti di lavoro nel settore specifico. Per quanto si riferisce all’Italia, uno degli elementi che hanno caratterizzato l’evoluzione nel periodo considerato sono stati la progressiva “erosione” e l’indebolimento dei Servizi di Stato (Servizio meteorologico dell’A.M. e Servizio Idrografico e Mareografico). Il primo colpo è da attribuirsi alla “regionalizzazione” nel settore idrometeorologico, realizzata senza le linee generali di guida suggerite da ovvi criteri tecnico-scientifici. In questo caso i danni maggiori sono stati subiti il Servizio Idrografico e Mareografico.

Un secondo evento, nel 1981 ha avviato il processo di erosione del Servizio meteorologico A.M: è stata creata l’Azienda Autonoma per l’Assistenza al Volo. Per quanto riguarda la meteorologia, questo nuovo ente è divenuto responsabile dell’assistenza al volo per l’aviazione civile limitatamente alle previsioni aeroportuali. Questo curioso e labile confine dei compiti istituzionali si è tradotto, in ogni caso, in una seria perdita di funzioni per il Servizio meteo dell’A.M.. Nel 1973 è comparso un nuovo fattore di straordinaria importanza per il settore, ma nel contempo causa di un ulteriore indebolimento del servizio nazionale: ha avuto inizio l’attività del Centro Europeo per le Previsioni Meteorologiche a Medio Termine (ECMWF). Questa istituzione ha assunto la responsabilità della produzione dei campi meteo prognostici da 3 a 10 giorni, lasciando ai servizi nazionali la previsione a breve scadenza (24-48 ore). Anche questo si è rivelato nella realtà un confine labile e di mera facciata: la disponibilità dei prodotti del Centro Europeo (peraltro di ottima qualità) ha finito per comprimere il ruolo del Servizio meteorologico A.M. prevalentemente verso la gestione della rete sinottica di osservazione e la distribuzione al livello nazionale dei prodotti dell’ECMWF.

Nell’ultimo decennio si è verificata una ulteriore “amputazione” di funzioni del Servizio meteorologico: la responsabilità della gestione dei programmi internazionali sul “Clima globale” e’ stata assunta dall’ENEA (Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente), una struttura nazionale con identità non del tutto definita, dopo la perdita delle originarie funzioni di garante della sicurezza nucleare. La riduzione degli organici per ragioni di limitazioni di bilancio e per la ristrutturazione delle Forze Armate ha infine ulteriormente contribuito all’indebolimento del Servizio meteorologico A.M..

Nei tre grandi paesi europei, Francia, Germania e Regno Unito, le strutture nazionali dedicate alla meteorologia, di fronte alle mutate situazioni esterne hanno subito trasformazioni di adattamento, senza traumatiche erosioni, orientandosi nettamente verso la ricerca applicata e verso la elaborazione di nuovi prodotti specializzati a valore aggiunto. In Italia il settore dei Servizi di Stato ha subito in media, nel periodo considerato, una sistematica riduzione di attività e di importanza, seguendo purtroppo una tendenza evolutiva generale che favorisce in tutti i settori una “degradazione” delle strutture nazionali e una esaltazione dei “localismi” anche in campi tecnico-scientifici, come la meteorologia e l’idrologia, in cui un tale indirizzo ha un senso molto limitato.

La ricerca nel campo delle scienze dell’atmosfera, nella seconda metà del secolo, ha invece ricevuto un grande impulso, almeno sotto il profilo delle risorse impegnate. Sono sorti e si sono consolidati enti del CNR, come l’Istituto di Fisica dell’Atmosfera (IFA) di Roma e l’Istituto per lo Studio dei Fenomeni Fisici e Chimici della Bassa ed Alta Atmosfera (FISBAT) di Bologna. Una curiosa tendenza nazionale nella creazione di istituzioni di ricerca nel settore è quella di intitolarle nel modo più generico. Un artificio per consentire nel loro ambito il più ampio spettro di attività sottraendosi ad impegni troppo specifici.

Sono stati finanziati importanti progetti nazionali come il Programma Finalizzato Qualità dell’Ambiente (CNR), il programma Antartide, il Gruppo Nazionale per la Difesa dalle Catastrofi Idrogeologiche (CNR-GNDCI), eccetera. Nelle università, le scienze dell’atmosfera, sia pure con denominazione diversa, si sono consolidate ed estese, e le preferenze degli studenti per questo tipo di indirizzo sono molto evidenti, anche se le offerte di lavoro, essenzialmente nel settore dei Servizi di Stato, regionali e nella ricerca sono modeste.

Conclusioni

Lo sviluppo della meteorologia e delle scienze affini nella seconda metà del secolo è il risultato degli investimenti di risorse (finanziarie, di mezzi e di personale) da parte dei Governi. Lo sviluppo del campo interamente nuovo della matematica numerica ha permesso per la prima volta di modellare l’evoluzione non lineare della dinamica atmosferica, rendendo possibile l’applicazione della meccanica classica ad un sistema, l’atmosfera, costituito da un numero enorme di particelle.

La scienza moderna in questo campo appare ormai orientata in due direzioni distinte:

-la Meteorologia, da un punto di vista fisico-matematico fondata su un indirizzo tipo “problema di valore iniziale”, che tende con i propri modelli alla prognosi della dinamica atmosferica e del tempo per circa dieci giorni;

-la Climatologia, da considerarsi inquadrabile, sotto il profilo scientifico, come lo studio della dinamica evolutiva del sistema climatico, guidata essenzialmente da graduali variazioni delle “condizioni al contorno”.

Lo sviluppo scientifico di queste branche è certamente dipeso dalle risorse investite. Le spese per la meteorologia in Italia sono state di tutto rispetto dopo gli anni ‘60. Quelle relative alla costituzione ed al funzionamento dell’ECMWF sono state assai proficue. Esse hanno dato un contributo allo straordinario miglioramento nelle previsioni meteorologiche che si spingono oggi fino a sei giorni, con ricadute importanti in vari settori (specie agricoltura e protezione civile) e hanno anche determinato un grande miglioramento conoscitivo.Viceversa, gli investimenti nel settore della meteorologia nelle Regioni, essendo mancato un progetto nazionale di coordinamento e di guida, hanno dato risultati meno incisivi, con frequenti sovrapposizioni di funzioni e dispersione di energie, anche se hanno contribuito in modo sostanziale allo sviluppo di una coscienza meteorologica diffusa nell’intero paese.

Le risorse impegnate in Italia nella ricerca, anche se certamente inferiori di almeno un ordine di grandezza rispetto a quelle degli altri paesi europei maggiori, hanno favorito lo sviluppo di una comunità scientifica efficiente e produttiva. In questo campo si è sentita alquanto la mancanza di grandi progetti nazionali innovativi, capaci di coagulare le energie disponibili verso finalità di rilievo scientifico ed applicativo. Infine, un ritardo apprezzabile nella comparsa della meteorologia nelle università ha premiato i risultati della ricerca applicata rispetto a quella di base.

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