Peter Gluckman, Alan Beedle, Mark Hanson
Principi di medicina evoluzionistica
Giovanni Fioriti Editore 2011, pp. 457, € 42,00
Scopo primario di questo libro – affermano gli autori – è dimostrare il modo in cui la conoscenza dei processi evolutivi può ampliare la comprensione della biologia umana, della salute e della malattia. Il testo, rivolto principalmente agli studenti di medicina e alle scuole di medicina, mette in luce come le più recenti scoperte della biologia molecolare e, per esempio, le conoscenze sui processi epigenetici dello sviluppo, possano modificare l’interpretazione di molte patologie e, di conseguenza, le modalità di intervento terapeutico. Ecologia, evoluzione e sviluppo individuale sono infatti strettamente correlati e, in questa prospettiva, l’anamnesi non dovrebbe limitarsi a chiedere al paziente la storia della sua malattia, ma dovrebbe individuare ciò che potrebbe averne disturbato lo sviluppo fin dal concepimento; e, a un livello più generale, dovrebbe conoscere la storia del paziente come Homo sapiens, rintracciando le radici etniche e culturali della sua storia evolutiva.
Gli esempi che sostengono il bisogno di non fermarsi alla ricerca della causalità prossima delle diverse malattie per guardarle invece contro lo sfondo temporale dell’evoluzione umana sono ricchi e documentati per tutto il corso del volume. La prospettiva evoluzionistica, infatti, cambia il pensiero dei medici sulla salute e sulla malattia, aiutandoli a definire meglio i concetti di normalità e anormalità, i limiti dell’adattamento all’ambiente, le conseguenze del maladattamento nella eziologia della malattia.
Per dare una misura dell’adattamento di un organismo al proprio ambiente, e valutare cioè la sua capacità di sopravvivere e di riprodursi, si ricorre al concetto di fitness, una funzione del “successo riproduttivo” dell’organismo in questione. L’evoluzione è proprio il processo attraverso il quale una popolazione cambia nel tempo ottimizzando la sua fitness nell’ambiente in cui vive. E la medicina evoluzionistica ha scoperto che molte delle patologie attuali hanno rappresentato, in tempi remoti, delle risposte positive in termini di fitness alle condizioni ambientali in cui si stava sviluppando il genere umano. Queste risposte, che si sono dimostrate utili in altre condizioni e in altri momenti, si rivelano oggi inappropriate e dannose, generando situazioni patologiche provocate dall’eccesso di meccanismi di difesa da parte dell’organismo nei confronti di un ambiente che è sostanzialmente cambiato.
Assume quindi grande importanza la relazione continua tra l’organismo e il suo ambiente di vita: spesso una patologia è causata da elementi esterni, ma assai più spesso dipende da un dis-accordo (mismatch) tra la fisiologia dell’individuo e l’ambiente in cui vive. Anche gli ambienti si sono evoluti e, soprattutto in tempi recenti, sono state prodotte dalla tecnologia umana sostanze del tutto nuove: le specie viventi devono fare i conti con queste impreviste presenze, imparare (biologicamente) a metabolizzarle o a difendersene.
Nel corso delle generazioni i processi evolutivi, che non hanno un fine o una direzione predeterminata, selezionano positivamente solo gli organismi che rispondono in modo adeguato ai nuovi ambienti e che trasmettono alla discendenza le loro caratteristiche. Nel tempo, la selezione di individui con fitness migliore porta a rilevanti cambiamenti nelle popolazioni. La intolleranza al lattosio, la pigmentazione della pelle, la dimensione del cranio dei neonati, per fare degli esempi, hanno tutti una storia evolutiva piuttosto complessa e rappresentano, ciascuno nel proprio ambito, la risposta equilibrata degli organismi a condizioni ambientali diverse da quelle attuali.
L’attenzione alla fitness come forza biologica capace di orientare i processi evolutivi è, nel testo, documentata con ricchezza di esempi, dati statistici. Fanno riflettere alcune domande che gli autori, quasi a conclusione del loro lavoro, pongono sul significato evolutivo non solo della biologia ma anche dei prodotti della mente umana. La facoltà di usare e generare cultura, sostengono, è chiaramente una capacità evoluta della nostra specie; ma la credenza nel sovrannaturale, i riti che spesso la accompagnano, danno un vantaggio adattativo, aumentano la fitness di una popolazione o sono il risultato di altri comportamenti del gruppo sociale? Credenza nel soprannaturale e religione sono conseguenza o effetti collaterali dell’evoluzione della coscienza umana? La coesione di gruppo stabilizzata da comuni pratiche religiose, aumenta la fitness del gruppo stesso? E la conoscenza scientifica è stata anch’essa selezionata in quanto ha contribuito ad aumentare la fitness del gruppo che la ha sviluppata?
La psicologia evoluzionistica tenta di correlare – come la medicina evoluzionistica – l’individuo, il suo sviluppo ontogenetico, il suo sviluppo evolutivo agli ambienti dell’adattamento relativi alle diverse tappe. Le discussioni su questi argomenti sono, come si vede, aperte e problematiche: le affermazioni adattative devono essere sempre supportate da prove empiriche e le eventuali spiegazioni alternative devono sempre essere tenute in considerazione. E comunque i ragionamenti adattativi in biologia e, a maggior ragione, in psicologia e sociologia, devono essere considerati fino ad un certo punto ed in ogni caso, sempre ipotetici.