Nel 2021 persi 6,8 milioni di ettari di foreste

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(Foto di Marcin Jozwiak via Unsplash)

Tra le azioni necessarie per azzerare le emissioni di gas serra e, dunque, limitare l’aumento della temperatura globale di 1,5°C al 2050 c’è lo stop alla deforestazione e il ripristino di 350 milioni di ettari di terreno degradato entro il 2030. Il cambio di destinazione d’uso del suolo, che comprende deforestazione e degrado delle foreste, rappresenta infatti il 10-12% delle emissioni globali. Restano ora soli otto anni per raggiungere l’obiettivo. A che punto siamo?

Purtroppo la risposta che arriva dal Forest Declaration Assessment: Are we on truck for 2030? non è rassicurante. Secondo il report che annualmente valuta i progressi compiuti verso gli obiettivi fissatio a livello internazionale, la riduzione della deforestazione globale procede a rilento e siamo ancora lontani dal 10% annuo di riduzione che si stima necessario per raggiungere l’obiettivo: nel 2021 la deforestazione è calata del 6,3% rispetto alla media 2018-2020, e nelle aree umide tropicali, addirittura, solo del 3,1%.

In termini di estensione, questo significa che in un anno abbiamo perso 6,8 milioni di ettari di foreste, quasi quanto la Repubblica d’Irlanda, e la deforestazione ha comportato l’emissione di 3,8 gigatonnellate di anidride carbonica e gas serra correlati.

I Paesi più virtuosi

Negli ultimi vent’anni la perdita totale di foreste è stata di 100,5 milioni di ettari, con soli 36 Paesi che hanno guadagnato più copertura di quella che hanno perso. Se da un lato si sono superati 130 milioni di ettari di nuove aree forestali, un’area estesa poco più del Perù, dall’altro le perdite (231,4 milioni di ettari) hanno superato i guadagni, con il 96% della deforestazione concentrato nelle Regioni tropicali.

Sulla buona strada è solo l’Asia tropicale, grazie soprattutto all’Indonesia, che da cinque anni sta riducendo la deforestazione, e alla vicina Malaysia.

Dati negativi arrivano invece dalle aree tropicali di America latina e Africa che, nonostante un calo complessivo nella perdita di foreste, non sono in linea con gli obiettivi per il 2030. Tra i Paesi in cui il fenomeno è in crescita vi sono soprattutto Brasile (che resta il principale deforestatore), Bolivia, Repubblica democratica del Congo e Paraguay.

Tra i buoni esempi ci sono invece Ghana e Costa d’Avorio che, dopo anni di significativa distruzione, nel 2021 hanno visto un calo, rispettivamente, del 13% e del 47%. Questo grazie anche a progetti come “Cocoa and Forests”, una collaborazione tra governi e 35 aziende produttrici di cacao (che rappresentano l’85% del commercio mondiale) per un uso più sostenibile delle risorse forestali.

Perché le foreste sono cruciali per il clima

Le foreste sono un alleato importante per la stabilità climatica. Il loro principale strumento di contrasto al riscaldamento globale è lo stoccaggio di carbonio: tra il 2001 e il 2020 hanno assorbito fino a 7,6 gigatonnellate di anidride carbonica equivalente l’anno.

A preoccupare i ricercatori è però il fatto che la differenza tra assorbimento di carbonio ed emissioni da deforestazione e degrado si sta riducendo in alcune regioni, soprattutto in Amazzonia. Qui la capacità di assorbire CO2 sta calando rispetto a quanta ne viene emessa a causa di deforestazione e degrado.

Ed è molto importante anche la latitudine, perché purtroppo, le foreste più colpite dal fenomeno sono anche le più delicate, cioè le foreste tropicali e subtropicali, che detengono circa un terzo del carbonio e della biodiversità non recuperabili e che possono richiedere decenni per ristabilire quanto è stato perduto.

Ma non c’è solo lo stoccaggio di carbonio. Come illustra un report del World Resources Institute, attraverso la traspirazione, ad esempio, le piante trasformano l’acqua del suolo in vapore acqueo, favorendo un effetto di raffreddamento locale e condizionando le precipitazioni. Inoltre influenzano quantità e flusso di acqua nel suolo, limitando eventi estremi come le inondazioni.

E ancora: le chiome degli alberi interagiscono con i venti, influenzando ulteriormente la distribuzione di calore ed umidità nell’atmosfera: la loro perdita può ad esempio aumentare la velocità dei venti vicino la superficie terrestre, lasciandola più asciutta e calda.

Infine, va considerata l’albedo e qui ritorna l’importanza delle foreste tropicali. Rispetto ai tropici, ad esempio, negli ecosistemi montani la crescita della superficie boschiva non è necessariamente positiva, in quanto ha minore capacità di riflettere la radiazione solare rispetto a una superficie innevata- Anche per questo bisogna considerare attentamente le azioni di riforestazione.

A tutto ciò si aggiunge il fatto che riforestare un terreno degradato e disboscato non equivale a ricreare una foresta secolare. Una foresta giovane non ha le stesse capacità di alberi con centinaia di anni: la quantità nello stoccaggio di carbonio, la ricchezza di biodiversità e la qualità dei servizi ecosistemici correlati sono decisamente inferiori. È per tutti questi motivi che è quindi necessario anzitutto salvaguardare le foreste esistenti. Ma perché allora disboschiamo così tanto?

Cause di deforestazione: agricoltura, demografia e infrastrutture

Principale responsabile della deforestazione è il settore agricolo: nel 2021 la produzione di materie prime, specie olio di palma, soia e carne bovina, ha determinato quasi 6 milioni di ettari di deforestazione permanente, la silvicoltura ne ha prodotti 7 milioni e la coltivazione itinerante (cioè coltivare per brevi periodi tratti di foresta disboscati bruciando la vegetazione) altri 6 milioni.

A seguire c’è la costruzione di infrastrutture, legate sia allo sfruttamento delle foreste sia all’estrazione di combustibili fossili e all’urbanizzazione pianificata. In altre parole, accanto alle infrastrutture industriali – pensiamo ad esempio che l’industria estrattiva in quanto tale causa “solo” tra l’1,3% e il 3,3% di deforestazione – sorgono ulteriori infrastrutture legate all’aumento di popolazione, come centri abitati, vie di comunicazione e attività commerciali minori. Il tutto sempre a discapito delle foreste, soprattutto in zone fragili visto che circa il 20% delle foreste tropicali intatte si trova su terreni dati in concessione al settore estrattivo e minerario.