Quali sono le tecnologie per sequestrare l’anidride carbonica dall’atmosfera

anidride carbonica
(Foto: Jasmin Sessler on Unsplash)

Tecnicamente, si chiama Carbon capture and storage, abbreviato in Ccs, e traducibile con “cattura e conservazione del carbonio”: si tratta di un insieme di tecnologie che, per l’appunto, “risucchiano” l’anidride carbonica (uno dei principali gas serra responsabili del cambiamento climatico) dall’atmosfera, trasferendola poi in un sito di stoccaggio, e che pertanto sono considerate parte fondamentale del processo che dovrebbe portarci al famoso traguardo di emissioni zero entro il 2050. Dove per emissioni zero non si intende la totale cessazione del rilascio di gas serra in atmosfera, per l’appunto, ma il “pareggio di bilancio” tra i gas serra emessi e quelli ricatturati.

È evidente, quindi, che è necessario agire su entrambi i fronti, facendo tutto quello che si può per ridurre le emissioni e contemporaneamente potenziando la nostra capacità di rimozione dei gas serra stessi. La questione è così importante che se ne stanno anche interessando gli esperti dell’Interngovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l’ente internazionale più importante in materia di clima: come riporta la Bbc, il 4 aprile l’Ipcc dovrebbe pubblicare un nuovo studio in cui saranno valutate le diverse tecnologie di rimozione di anidride carbonica dall’atmosfera

Il lavoro in uscita è il terzo di tre importanti rapporti curati dall’Ipcc negli ultimi mesi: mentre i primi due si sono occupati di descrivere le cause del cambiamento climatico, quest’ultimo sarà concentrato sulla sua mitigazione, ovvero su come possiamo sperare di fermarlo. “Abbiamo molto materiale sul tema della rimozione dell’anidride carbonica – ha commentato, sempre alla Bbc, Jim Skea, componente dell’Ipcc e docente allo Imperial College di Londra -. Detto semplicemente, si tratta di non immettere nuovo carbonio nell’atmosfera ed eliminare quello in eccesso. Lo scopo del nuovo rapporto è quello di coprire tutto lo spettro dei diversi approcci di rimozione dell’anidride carbonica, che sono tanti e diversi, e dello stoccaggio della stessa sostanza. Vogliamo valutare tutte le possibilità”.


Combustibili dall’anidride carbonica, grazie al sole


Le opzioni sul tavolo

Quali sono, al momento, queste possibilità? In attesa di leggere il report, possiamo passarne in rassegna qualcuna. La prima, e più semplice, è ovviamente quella offerta dalla natura stessa: sappiamo infatti che le piante, tramite la fotosintesi clorofilliana, assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno. Non si scappa: se si vuole davvero ridurre la quantità di gas serra in atmosfera bisogna arginare la deforestazione (come tra l’altro chiaramente ribadito nel corso della Cop26, la grande conferenza sul clima svoltasi a Glasgow nell’ottobre scorso) e anzi provvedere a “riforestare” le aree disboscate. 

Anche perché la deforestazione incontrollata e gli incendi rischiano di avere conseguenze ancora più gravi di quel che si pensasse, nel senso che non soltanto diminuisce la capacità della biosfera di rimuovere l’anidride carbonica, ma ne aumenta anche quella di emetterla: a causa di incendi e disboscamenti, tanto per fare un esempio, nel 2020 la foresta amazzonica brasiliana ha prodotto quasi il 20% in più della quantità di anidride carbonica che è riuscita ad assorbire nello stesso periodo, come ha svelato uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, trasformandosi di fatto in un “avvelenatore” anziché in un assorbitore. Una tendenza che, temono gli esperti, potrebbe essere molto difficile da invertire, se non addirittura irreversibile. 

Inoltre, bisogna anche tener conto del fatto che le piante, da sole, non saranno comunque mai in grado di eliminare tutta l’anidride carbonica in eccesso: per piantare la quantità di alberi necessari a farlo, infatti, servirebbe uno spazio maggiore di quello che utilizziamo oggi per tutte le risorse agricole del pianeta. Salveremmo l’ambiente, forse, ma poi ci troveremmo a morire di fame.

Un albero artificiale

Veniamo ora alle soluzioni artificiali. L’idea di rimuovere l’anidride carbonica immessa in atmosfera come strategia per contrastare i cambiamenti climatici è stata proposta per la prima volta nel 1999 dal fisico Klaus Lackner, in un articolo presentato durante la 24esima International Technical Conference on Coal Utilization and Fuel Systems. Inizialmente, l’idea fu accolta con un certo scetticismo, ma oggi le cose sono cambiate, anche perché la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è drasticamente aumentata e sta continuando a farlo. 

“Quando ho pubblicato i primi lavori in cui indagavo la possibilità di eliminare l’anidride carbonica dall’atmosfera – aveva spiegato a Wired lo stesso Lackner in un’intervista del 2019 –. In molti pensavano che si trattasse di un approccio inutile, se non addirittura dannoso. I giacimenti di petrolio prima o poi si esauriranno, ragionava qualcuno, e il problema si risolverà da solo. Io non ero della stessa opinione: se anche finisse il petrolio, rimarrebbero enormi riserve di carbone pronte per essere sfruttate [possibilità che tra l’altro, con il conflitto tra Russia e Ucraina, è tornata a diventare concreta, nda]. Quello che avevo capito è che il problema è cumulativo: più CO2 si introduce nell’atmosfera, più la situazione peggiora, e più diventa difficile intervenire. Per questo motivo, bisogna affrontare la situazione come un problema di gestione dei rifiuti: se produci anidride carbonica, devi essere pronto a raccoglierla e smaltirla”.

Una delle idee di Lackner è, ancora, di prendere spunto dalla natura. Nei suoi laboratori del Center for Negative Carbon Emission, lo scienziato e il suo team lavorano da tempo infatti a una sorta di albero artificiale, cioè a un dispositivo che dispiega dei pannelli composti da un materiale polimerico (delle sorte di “foglie”, insomma) e rivestiti da una resina speciale ideata per legarsi alle molecole di anidride carbonica. 

I pannelli assumono una conformazione adatta a favorire il passaggio del vento, catturano l’anidride carbonica e poi si ripiegano; l’interno del dispositivo si riempie quindi di acqua e la resina, per via delle sue proprietà chimiche, vi rilascia l’anidride carbonica che ha catturato. A quel punto l’intero processo può iniziare da capo. Poi, chiaramente, bisogna pensare anche a cosa fare con l’anidride carbonica ricatturata: una parte di essa, dice Lackner, può essere combinata con energia solare e idrogeno e utilizzata per produrre carburanti; l’altra va giocoforza stoccata da qualche parte. Per esempio sotto terra, in appositi container, un po’ come si fa (o meglio si dovrebbe fare) con le scorie nucleari

Nuovi materiali

Nel frattempo, la ricerca di materiali sempre più efficienti nella cattura dell’anidride carbonica va avanti: un paio di anni fa, per esempio, un’équipe di ricercatori dell’Università di Kyoto ha annunciato, sulle pagine di Nature Communications, di aver messo a punto una struttura metallo-organica fatta di ioni di zinco e componenti organiche capace di riconoscere selettivamente la CO2, catturarla e renderla riutilizzabile per la produzione di prodotti chimici.

Ci sono poi anche progetti su scala più ampia: a metà dello scorso anno, per esempio, è stato annunciato l’inizio della progettazione di un enorme impianto per la rimozione dell’anidride carbonica che dovrebbe sorgere sulla costa scozzese, e che, a regime, dovrebbe riuscire a rimuovere dall’atmosfera fino a un milione di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, l’equivalente di circa 40 milioni di alberi. Secondo i piani, l’impianto dovrebbe essere operativo nel 2026. Sostanzialmente, funziona come un enorme aspirapolvere, che risucchia l’aria dall’atmosfera e la fa confluire in un serbatoio che contiene un liquido in grado di legarsi all’anidride carbonica; dopo diversi altri passaggi, il liquido viene trasformato in pellet di carbonato di calcio, che vengono riscaldati a circa 900 °C e si decompongono in ossido di calcio e anidride carbonica pura. Questo flusso di anidride carbonica viene infine pompata sottoterra per il suo stoccaggio definitivo.

In ogni caso, va sottolineato che, nonostante tutti gli sforzi e i progressi della ricerca, tutte queste tecnologie sono ancora abbastanza acerbe, il che se da una parte comporta il fatto che ci siano ancora ampi margini di miglioramento, dall’altra implica che probabilmente i tempi perché siano realmente operative ed efficienti potrebbero non essere brevi come spereremmo. E molti esperti sono anche preoccupati del fatto che, nel momento in cui questi sistemi saranno tecnologicamente ed economicamente sostenibili, i governi potrebbero interrompere gli sforzi per ridurre le emissioni, cosa da evitare a tutti i costi. 

“Non possiamo permetterci di fare affidamento solo su queste tecnologie – ha spiegato alla Bbc Ajay Gambhir, ricercatore del Graham Institute for Climate Change and the Environment -. Sono certamente molto interessanti, e dobbiamo continuare a lavorarci sodo e assicurarci che diventino competitive in termini di costi e di prestazioni entro questo decennio; ma allo stesso tempo dobbiamo continuare a ridurre le emissioni il più velocemente possibile”. Il resto lo leggeremo tra pochi giorni nel rapporto Ipcc.

Via: Wired.it

Credits immagine: Jasmin Sessler on Unsplash