Materia oscura, energia oscura, buchi neri. Ancora poco si sa di alcuni dei più affascinanti oggetti che si trovano nell’Universo, tanto che il richiamo al buio è vivo anche nei nomi che son stati dati loro. Eppure, negli ultimi dieci anni qualcosa è stato compreso, soprattutto per quanto riguarda i buchi neri supermassivi, presenti al centro di ognuna delle galassie che conosciamo: Science prova a fare il punto proprio di quest’ultimo decennio di scoperte sull’argomento, cosa sono e come si formano i buchi neri, quando e come possiamo vederli, quale è la loro origine e il rapporto che hanno con la galassia in cui si trovano.
Esistono buchi neri e buchi neri
Prima di tutto – spiega Marta Volonteri, ricercatrice all’Istituto di Astrofisica di Parigi alla quale è stato assegnato il difficile compito di riassumere tutto quello che si sa sull’argomento – bisogna fare una distinzione: un conto sono i buchi neri di massa pari a qualche volta quella del Sole, che si trovano sparsi in maniera disordinata nelle galassie, un conto sono i buchi neri supermassivi, che hanno masse che possono arrivare a miliardi di volte quella della nostra stella. Ogni galassia sembrerebbe possederne all’interno del nucleo uno solo, e la storia e il destino dei due oggetti sembrerebbe essere profondamente intrecciato.
Come nascono gli oggetti che mangiano tutto
La teoria più diffusa vuole che i buchi neri supermassivi siano null’altro che i residui della prima generazione di stelle, grandi e luminose ma dalla vita breve, formate a partire dal gas e dalla materia oscura presente nell’universo primordiale. Come?
I ricercatori hanno tre ipotesi: o nelle galassie primordiali a partire da un disco omogeneo di materia si formava molto velocemente una sola enorme stella, con massa pari a quella di miliardi di Soli, ed era la ‘morte’ di questa a formare da subito il buco nero; oppure ancora si formava una stella che collassava in un buco nero di dimensioni minori, ma capace di accrescere se stesso risucchiando la materia intorno nel disco galattico; oppure infine di stelle se ne formavano tante, e tutte talmente vicine da generare instabilità gravitazionali tali che si creasse un unico corpo celeste supermassivo, capace di esplodere in una supernova e dunque originare il buco nero, dal quale non può uscire materia, né radiazione luminosa.
Ma se un buco risucchia tutto, anche la luce, come lo vediamo?
In realtà, non è del tutto vero che i buchi neri non sono mai visibili, anzi sembrano essere proprio a generare uno degli oggetti celesti più luminosi: i quasar. Secondo la teoria a oggi più accreditata, questi oggetti che si osservano solo nell’Universo primordiale sono emissioni causate da gas e polveri che cadono proprio in un buco nero supermassivo. In particolare i quasar avrebbero avuto luogo proprio quando due delle galassie si scontravano nel tumulto gravitazionale dell’universo primordiale: quando i due oggetti celesti si amalgamano insieme, lo fanno anche i due buchi neri supermassivi al loro interno, e quando la materia viene risucchiata in uno di essi o in entrambi si generano i quasar.
Chi influenza chi
Se ogni galassia ha il suo buco nero supermassivo, e il destino di entrambi dipende dalla materia (oscura o meno) che è al loro interno, non è difficile immaginare che la storia di questi due oggetti celesti sia profondamente intrecciata. Quel che è certo è che il tasso di formazione delle stelle nel nucleo galattico è collegato alla velocità con cui la materia viene risucchiata nell’oggetto al suo interno. Ma è la galassia a determinare in che modo si formano i buchi neri e che dimensione hanno? O viceversa sono questi a stabilire come essa crescerà nel tempo? Oppure, ancora i due corpi si influenzano a vicenda man mano che maturano?
Per sapere la risposta serviranno ancora diversi anni di ricerca. “Solo recentemente abbiamo cominciato a chiederci non solo cosa succede a una galassia che al suo interno ha un buco nero supermassivo, ma anche cosa succede al buco nero a seconda della galassia in cui si trova. O meglio ancora, come questi due oggetti interagiscano”, scrive Volonteri a conclusione dell’articolo su Science. “In questo senso dovremo fare nei prossimi anni uno sforzo teorico, per riconnettere quello che sappiamo con le diverse simulazioni numeriche al computer e con i diversi approcci che abbiamo, da quello su scala cosmologica a quello che riguarda la singola galassia”.
Riferimento: Science doi: 10.1126/science.1220843
Credit immagine a X-ray: NASA/CXC/Wisconsin/D.Pooley & CfA/A.Zezas; Optical: NASA/ESA/CfA/A.Zezas; UV: NASA/JPL-Caltech/CfA/J.Huchra et al.; IR: NASA/JPL-Caltech/CfA