Distrofia di Duchenne, verso una terapia epigenetica

Cento persone malate di distrofia di Duchenne, in tutte manca la proteina distrofina che porta alla degenerazione dei muscoli scheletrici, compresi il cuore e i muscoli respiratori. Ma ci sono delle differenze: alcuni di quei cento pazienti possono aver bisogno di una sedia a rotelle anche prima dei 10 anni, altri intorno ai 15, altri ancora a 20 anni o dopo. Il perché potrebbe risiedere nel profilo epigenetico di ciascuno di loro, cioè in quell’insieme di meccanismi che regolano l’espressione dei geni, su cui influiscono i fattori ambientali.

Di epigenetica, branca di frontiera delle biomedicina, si è discusso a Riva del Garda lo scorso 8 marzo, in occasione dell’ultima convention scientifica Telethon, evento che ogni due anni riunisce i ricercatori titolari di un finanziamento con lo scopo di presentare i risultati più importanti e favorirne lo scambio. Galileo ha incontrato Pier Lorenzo Puri, direttore dei laboratori del Dulbecco Telethon Institute alla Fondazione Santa Lucia-Ebri di Roma e professore associato al Sanford-Burnham Medical Research Institute di La Jolla, in California. Avevamo già seguito le sue ricerche nel 2007 (Due nuove vie contro la distrofia di Duchenne), agli albori dell’epigenetica.

Professor Puri, quali sono gli ultimi sviluppi della vostre ricerche in questo ambito?
“Abbiamo compreso uno dei meccanismi chiave innescato dalla mancanza della distrofina, e abbiamo trovato un modo con cui modularlo. Ora stiamo sperimentando sui topi dei ‘farmaci epigenetici’ che sembrano riuscire a congelare i sintomi della malattia ai primi stadi”.

Come siete arrivati a questo punto?
“Da tempo, molti laboratori nel mondo stanno cercando di capire i motivi delle differenti risposte dei pazienti a una stessa terapia, o perché una malattia genetica possa dar luogo a manifestazioni cliniche di diversa intensità e avere una progressione individuale in pazienti con lo stesso tipo di mutazione. Per rispondere a queste domande bisogna comprendere la cascata di eventi che da un gene difettoso o mancante conduce all’espressione della malattia. Oggi sappiamo che esiste un livello di regolazione dell’espressione genica al di là della sequenza (da cui il termine ‘epigenetica’, ndr) che modula la risposta di un organismo al difetto genetico. Nel caso della distrofia di Duchenne, i muscoli privi di distrofina reagiscono a questa carenza con risposte compensatorie – per esempio sostituendolo con altro tessuto muscolare o con tessuto fibrotico – che sono determinate dai vari profili epigenetici. Questi stessi profili possono anche influenzare la risposta ai trattamenti”.

E voi avete individuato i profili?
“Ci stiamo lavorando da anni. Per ora abbiamo individuato degli enzimi chiave, chiamati deacetilasi degli istoni (HDAC), che regolano la struttura della cromatina, cioè la sostanza in cui è avvolto il Dna e che controlla l’espressione di diverse combinazioni di geni. Nelle persone sane, la distrofina regola l’attività delle HDAC; nei pazienti affetti da distrofia di Duchenne, quindi, l’assenza di distrofina porta a un’attività deregolata di questi enzimi. La conseguenza è una repressione del cosiddetto ‘network epigenetico’ che stimola la rigenerazione del muscolo. L’effetto, alla fine della cascata di eventi, è che i muscoli si riparano con cicatrici fibrotiche e con deposizione di grasso invece che con nuovo tessuto contrattile. Aver compreso questo ci ha permesso di identificare i composti in grado di contrastare l’effetto di H-DAC, ripristinando il meccanismo epigenetico corretto”.

Quali sono questi composti?
“Sono altri enzimi, chiamati inibitori della deacetilasi. Nei topi funzionano molto bene: bloccano la malattia ai primi stadi di sviluppo e non la fanno evolvere. Hanno diversi vantaggi. In primis, sono farmaci già impiegati in altre malattie pediatriche, e questo facilita la loro applicazione per nuove sperimentazioni cliniche. Inoltre si tratta di una terapia farmacologica, e non genica: in teoria, il farmaco è in grado di raggiungere tutti i muscoli con una somministrazione orale e dovrebbe funzionare a prescindere dal tipo di mutazione genica. In pratica, il loro effetto sul profilo epigenetico è equivalente alla reintroduzione della distrofina. La ricerca, ora, sta entrando in un fase clinica; speriamo di riuscire a disegnare uno studio entro la fine dell’anno e di partire con la sperimentazione nel 2012. È l’ennesima dimostrazione che la ricerca di base è fondamentale per fornire un’ipotesi di terapia che solo pochi anni orsono sarebbe stata impensabile. Tuttavia questo non deve dare luogo ad attese eccessive: è solo il primo passo di un percorso accidentato pieno di imprevisti. Ma se mai si comincia, mai si impara”.

4 Commenti

  1. Ha un bel sorriso il professore Pier Lorenzo Puri… mi piacerebbe che fosse lui a scoprire la terapia per questa terribile patologia. Vorrei che il suo nome venisse associato ad una delle più grandi scoperte medico-scientifiche della storia. Grazie e… Avanti, marsc!!

  2. buongiorno, vorrei sapere se le cellule staminali sono già usati su soggetti affetti da distrofia muscolare di becker, dato che in televisione ho visto che una bambina affetta da atrofia spinale è curata con le cellule staminali . in attesa di una risposta cordiali saluti

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