Quanti tipi di Alzheimer esistono?

L’Alzheimer non è un’unica malattia. A dimostrarlo è un team internazionale di ricercatori, che ha scoperto una variabilità nelle caratteristiche degli ammassi della proteina beta-amiloide – la firma caratteristica della patologia – nel cervello dei pazienti, corrispondente a diversi tipi del morbo di Alzheimer.

I risultati del nuovo studio, apparso sulle pagine di Nature, potrebbero così aiutare in futuro i medici a identificare più accuratamente i diversi sottotipi della malattia, rendendo i trattamenti e le pratiche diagnostiche più specializzate e permettendo così un ulteriore passo avanti verso la medicina personalizzata e di precisione.

La ricerca è riuscita a identificare tre tipi di Alzheimer: forma tipica, atrofia corticale posteriore e rapida progressiva. “Poiché la presentazione varia da persona a persona, avevamo da anni il sospetto che l’Alzheimer rappresentasse più di una malattia”, spiega Dale Bredesen, della University of California, che non è stato coinvolto nello studio.

“L’implicazione più importante di questo studio è quella che si potrà arrivare a un trattamento diverso per ogni gruppo di pazienti”. Lo studio di Bredesen, suggeriva che questi sottotipi erano identificabili nel modo in cui il peptide beta-amiloide si auto-assembla in fibre proteiche, le fibrille, nel cervello di persone con il morbo di Alzheimer.

E ora, il team di ricercatori dei National Institutes of Health (Nih) negli Stati Uniti, ha scoperto che queste fibrille, che non si possono intendere più solo come ammassi di proteine sono, infatti, associate a diversi sottotipi della malattia.

Per arrivare a questa conclusione, il team, coordinato da Robert Tycko del Nih, ha analizzato le fibrille all’interno di 37 diversi campioni di tessuto di 18 persone, ognuna delle quali era affetta da uno dei tre sottotipi della malattia.

Il team è così riuscito a dimostrare che le fibrille all’interno dei campioni di tessuto avevano una struttura specifica per quelli della forma tipica e atrofia corticale posteriore, suggerendo, quindi, come la presenza di queste strutture potrebbe essere un ottimo indicatore di questi due sottotipi. Coloro che erano, invece, affetti dalla forma rapida progressiva della malattia, presentavano un gran numero di strutture differenti, rendendo così molto più difficile l’identificazione del sottotipo, poiché non c’è una vera e propria struttura specifica.

I risultati dello studio suggeriscono, quindi, che in futuro i medici potrebbero essere in grado di analizzare campioni di tessuto dei pazienti con Alzheimer e riuscire a individuare con precisione da quale sottotipo della malattia sono affetti, potendo identificare il trattamento più adatto per quel tipo specifico e offrire così una nuova speranza a chi soffre di questa malattia.

“Una migliore comprensione degli aggregati neurotossici di beta-amiloide e delle correlazioni tra la loro struttura e i sottotipi della malattia potrebbe aiutarci nello sviluppo di nuovi test diagnostici e trattamenti per la malattia di Alzheimer”, concludono i ricercatori. “Ci vorranno comunque studi più ampi che coinvolgano un maggior numero di pazienti per trarre conclusioni più definitive, anche se questo è sicuramente un primo passo verso una migliore comprensione della malattia”.

Via: Wired.it

Marta Musso

Laureata in Scienze Naturali alla Sapienza di Roma con una tesi in biologia marina, ha sempre avuto il pallino della scrittura. Curiosa e armata del suo bagaglio di conoscenze, si è lanciata nel mondo del giornalismo e della divulgazione scientifica. “In fin dei conti giocare con le parole è un po' come giocare con gli elementi chimici”.

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