Dna e tumori, le analisi si fanno con l’energia solare

Diagnosticare un tumore con uno smartphone e l’energia solare, e basta: possibile? Sì, stando all’ambizioso progetto della Cornell University che sta testando il proprio KS-Detect, un dispositivo portatile per l’analisi del Dna alimentato dal sole in Uganda, pensato per tutte le regioni difficili da raggiungere e con limitato accesso alle reti di energia elettrica. Il cancro da identificare è il sarcoma di Kaposi, una forma tumorale diffusa nell’Africa sub-sahariana, Aids-correlata e causata da una forma di herpes virus.

“La mortalità nell’Africa sub-sahariana in seguito a una diagnosi di sarcoma di Kaposi è inaccettabilmente alta, anche dopo l’introduzione delle terapie antiretrovirali“, spiega Ethel Cesarman, del Weill Cornell Medical College di New York, “Ciò è dovuto in parte alla difficoltà di eseguire una diagnosi accurata con le attuali tecnologie, che si traduce in un trattamento ritardato e nell’avanzamento della malattia, che è difficile da trattare”.

La diagnosi della malattia solitamente passa anche attraverso la Pcr, la tecnica di laboratorio che permette di identificare la presenza di particolari sequenze genetiche, in questo caso quelle appartenenti al virus. Durante la Pcr la temperatura viene progressivamente alzata e abbassata, solitamente grazie all’alimentazione elettrica. I ricercatori della Cornell Unviersity però hanno pensato di andare oltre, facendo a meno di prese elettriche e puntando invece sull’energia fornita dal sole.

Per farlo il loro dispositivo usa una lente che focalizza la luce del sole su un disco i cui bordi rimangono più freddi del centro. Un piccolo canale incorporato in questo disco accoglie il campione da analizzare, che si muove da zone più calde e più fredde mimando le variazione di temperatura che avvengono durante la Pcr. Uno smartphone quindi controlla le reazioni che avvengono nel chip controllando la fluorescenza di un colorante, espressa quando è presente il genoma del virus nel campione. Quanto dura il test? Solo trenta minuti. 

Francis Moussy dell’Oms, scrive il NewScientist, ha accolto la notizia del nuovo device con entusiasmo. Infatti, dice, oltre a permettere la diagnosi dei pazienti in regioni difficilmente accessibili, lì dove essi si trovano, senza costringerli a muoversi, il principio di KS-Detect può essere applicato anche per identificare anche altre patologie o agenti infettivi, cambiando poci parametri (in questo caso i primer della Pcr, ovvero le sequenze che innescano l’amplificazione del Dna ricercato).

Riferimenti: Cornell University

Credits immagine: Cornell University via Newscientist

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