Categorie: Ambiente

Dopo Isaac, droni e robot marini in azione

Non solo strumenti bellici e di spionaggio: i droni, veicoli senza pilota umano a bordo, possono servire anche a monitorare il percorso degli uragani. E non in un lontano futuro, ma già dal prossimo lunedì. Già, perché per la fine della settimana infatti è previsto l’arrivo di uno dei due Global Hawk alla Wallops Flight Facility, base della Nasa in Virginia, da dove poi nei giorni seguenti comincerà la sua attività di osservatore con un volo di prova. Ad affiancarlo poi, nelle prossime settimane, ci sarà anche un secondo drone. Troppo tardi per le operazioni di monitoraggio di Isaac, che in questi giorni si abbatte sulle coste del Centro America, ma ancora in tempo per il picco della stagione degli uragani. È quanto si augurano gli scienziati della Nasa e della  National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa) rispettivamente a capo del progetto dei droni e dei robot marini senza equipaggio che affiancheranno i velivoli nelle operazioni di monitoraggio. 

Acquistati dall’aeronautica militare, questi due Global Hawk pilotati in remotopossono percorrere grandi distanze, sono dotati di lunga autonomia (circa 30 ore) e sono stati trasformati in stazioni scientifiche volanti, equipaggiati di sensori in grado di registrare le condizioni atmosferiche (uno per lo studio dell’uragano l’altro per monitorare l’ambiente circostante). Con un apertura alare di circa 35 metri, infatti, questi droni si prestano a essere caricati con tutta la strumentazione necessaria. Tuttavia proprio la grandezza dei velivoli impedisce loro di sopportare le estreme condizioni atmosferiche all’interno della tempesta, come farebbero invece velivoli più piccoli, spiega a Mashable Scott Braun della Nasa, coinvolto nel progetto. I droni da soli, però, non possono riuscire a tracciare l’identikit di un uragano, o permettere ai ricercatori di stabilirne con esattezza l’ intensità e le conseguenti misure di sicurezzaper la popolazione. 

Ma neanche i satelliti metereologici, le stazioni dislocate in mare e i cacciatori di uragani (gli Hurricane Hunters, i veicoli con equipaggio che mappano le tempeste volando in prossimità delle stesse e al loro interno) possono essere sufficienti. Il problema, come riporta Popular Science, è che le informazioni più importanti, quelle che più preziose per stilare l’identikit degli uragani si trovano per lo più in zone difficili da raggiungere. Come lo spazio che separa la tempesta dalla superficie dell’acqua, e i metri immediatamente sottostanti la superficie del mare. È lì, in quell’interfaccia acqua-aria, che si possono acquisire i dati necessari a stabilire con buona probabilità l’ intensità di un uragano e quindi la sua capacità distruttiva. Ed è proprio in questo ambiente estremo che ha intenzione di spingersi la Noaa con i suoi robot marini: il Liquid Robotics’ Wave Glider e l’Hydronalix’s Emergency Integrated Life Saving Lanyard (Emily), l’uno complementare all’altro. 

La Wave Glider è un’evoluzione delle boe usate come stazioni meteorologiche che diversamente da esse può essere pilotata in caso di necessità. Dotata di pannelli solari e in grado di sfruttare il moto ondoso come forza propulsiva e, anche se non raggiunge alte velocità, può comunque rimanere in mare per lungo tempo. Grazie alla sua strumentazione raccoglie valori di pressionetemperaturaumidità, direzione e forza dei venti, e altezza delle onde. “L’idea è di posizionare una serie di queste piattaforme lungo il cammino di un uragano e di acquisire dati in un modo tutto nuovo, che non eravamo in grado di fare prima”, ha spiegato  Alan Leonardi del Noaa. 

Ma non potendo rincorrere l’uragano, il Wave Glider ha anche lui capacità limitate. Non è lo stesso per Emily, equipaggiata con una strumentazione scientifica simile, ma dotata di batterie e motori a  benzina, il robot marino è in grado di seguire l’occhio del ciclone, la regione più interessante della tempesta. Ha un autonomia di 10 giorni e potrebbe essere rilasciata in mare all’inizio di una tempesta e quindi seguirla durante tutto il suo percorso. Quando sarà pronta, però. Infatti a differenza della Wave Gluider, Emily è ancora solo un prototipo. 

via wired.it

Credit immagine a Nasa

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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