Salute

Disturbi del sonno, dormire troppo poco uccide i neuroni

Tutti sanno che dormire troppo poco compromette le nostre abilità cognitive e le nostre performance lavorative. Solitamente si cerca di recuperare il sonno perso dormendo più a lungo nel weekend o durante le vacanze. Sembra però che questo non basti. Secondo una ricerca effettuata presso l’Università della Pennsylvania negli Stati Uniti e pubblicata su Journal of Neuroscience la carenza di sonno cronica indurrebbe la degenerazione dei neuroni del locus coeruleus, coinvolti nei processi di risveglio e importanti per le capacità cognitive, e causerebbe, per lo meno nei topi, danni irreversibili al cervello con conseguenze ben più gravi di quanto finora ipotizzato.

Nel loro studio, i ricercatori americani in collaborazione con un gruppo dell’Università di Pechino, in Cina, si sono serviti di un modello di topi sottoposti a deprivazione cronica di sonno. Dopo aver impiantato dei microelettrodi nel cervello degli animali, gli scienziati ne hanno monitorato, tramite elettroencefalogramma e elettromiogramma, il comportamento e l’attività cerebrale in condizioni di riposo normale, di breve veglia di circa tre ore o veglia prolungata della durata di otto ore. Questi cicli sonno-veglia erano stati scelti per mimare il pattern di riposo di persone come i lavoratori che fanno i turni di notte, gli studenti o i camionisti, più frequentemente affetti da disturbi del sonno.

Inoltre, usando analisi di immunoistochimica e molecolari del cervello dei topi appartenenti ai tre gruppi, i ricercatori hanno misurato l’attività dei neuroni situati nel locus coeruleus (LC), già precedentemente associato al controllo del ritmo del sonno, del risveglio, del movimento e delle abilità cognitive.

Dormire troppo poco e male aveva effetti negativi sull’attività dei neuroni LC. Infatti, negli animali sottoposti a brevi periodi di veglia si osservava un aumento dell’attività metabolica di queste cellule, che producevano livelli più elevati di fattori antiossidanti. Questa attivazione dipendeva dall’induzione di SirT3 (o sirtuina tipo 3), una proteina situata nei mitocondri – le centraline energetiche cellulari – coinvolta nel controllo della produzione di energia e delle risposte allo stress ossidativo. L’induzione della risposta antiossidante era importante per la protezione dei neuroni da danni metabolici e per mantenere le funzioni del cervello durante lo stato di veglia.

Quando la carenza di sonno era prolungata, invece, i livelli di SirT3 rimanevano bassi, con conseguente aumento dei livelli di stress ossidativo e delle modificazioni delle proteine mitocondriali, che attivavano un processo di morte cellulare (l’apoptosi). I topi privati di sonno mostravano, infatti, una perdita pari a circa il 25% dei neuroni della regione LC. Gli stessi risultati erano ottenuti in topolini geneticamente modificati che non esprimevano la proteina SirT3.

“Finora si è sempre assunto che se si recupera il sonno perso, il cervello non subisce nessun danno permanente”, spiega Sigrid Veasey, responsabile dello studio: “anche se esperimenti precedenti, avevano suggerito che alcuni danni causati dalla mancanza di sonno, come la riduzione della capacità di prestare attenzione, fossero di più lunga durata”.

“Il nostro – continua l’autore – è il primo studio che mostra in maniera convincente che la deprivazione cronica di sonno, per lo meno nei topi, causa stress a livello dei mitocondri con conseguente perdita dei neuroni LC e che mantenere un ritmo sonno-veglia normale è importante per ripristinare l’omeostasi metabolica dei neuroni cerebrali e garantirne la funzione durante le ore di veglia”.

La fase successiva della ricerca sarà innanzitutto verificare se lo stesso processo avviene nel cervello umano in condizioni di carenza cronica di sonno e di capire quante sono le ore di sonno che possono essere perse senza causare danni permanenti. Inoltre, i livelli di SirT3 nell’organismo cambiano con l’età e con le condizioni di vita, tendendo a diminuire nelle persone anziane, affette da malattie come il diabete, obese e con stili di vita sedentari. Avere livelli di SirT3 normalmente bassi potrebbe predisporre un individuo a maggiori rischi di danni cerebrali e accelerare i processi neurodegenerativi in quelli affetti da malattie come l’Alzheimer e il Parkinson, come si è osservato in alcuni modelli animali.

Secondo gli autori, se il ruolo di SirT3 fosse confermato negli esseri umani, si potrebbe pensare a una terapia basata sulla reintroduzione di questa proteina per recuperare le funzioni mitocondriali dei neuroni LC e trattare i disturbi del sonno che colpiscono un numero sempre maggiore di persone.

Riferimenti: Journal of Neuroscience doi: 10.1523/JNEUROSCI.5025-12.2014

Credits immagine:  Gerd Altmann da Pixabay 

Maria Antonietta Cerone

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