Due geni mutati alla base del Parkinson

Alla base del Parkinson ci sarebbero almeno due alterazioni che riguardano il gene Snca (alfa-sinucleina) e Lrrk2. Sono queste le prime scoperte che arrivano da Parkinson Progression Markers, un progetto della Fondazione Michael J. Fox per la ricerca sul Parkinson che mira a dare un “volto genetico” alla malattia, identificando dei biomarcatori predittivi su larga scala che permettano di creare nuovi farmaci mirati per intervenire nelle prime fasi della patologia. Tra i 32 centri coinvolti nella ricerca c’è anche l’Università di Salerno, e non è un caso: i geni studiati, che sono presenti nel 5-10% dei casi di malattia, risultano infatti più comuni in determinati gruppi etnici, e Snca avrebbe proprio nell’area campana (e nella provincia di Salerno in particolare) una maggiore prevalenza, a causa di un’antica colonizzazione greca.

Da questa prima attestazione e da questa popolazione riparte quindi la ricerca nel mondo, a caccia di 50 volontari con la mutazione del gene Snca e malattia di Parkinson, e 50 con la stessa mutazione ma sani. E ancora di 250 volontari con l’alterazione del gene Lrrk2, in funzione della più ampia manifestazione della variante, e altrettanti, ma sani, per ottenere informazioni in più sulla complessità del Parkinson e le sue manifestazioni, attraverso un monitoraggio di cinque anni.

Lanciato nel 2010, lo studio Ppmi ha già arruolato 423 pazienti con possibili fattori di rischio per il Parkinson (ovvero la perdita dell’olfatto, un disturbo del comportamento e del sonno Rem) con diagnosi recente di malattia, e 196 controlli solo nel mese di aprile 2013. Ma oggi chiede di più: rivolge infatti un appello per aumentare il reclutamento di pazienti e volontari ai residenti della Provincia di Salerno, specie di Contursi Terme, con diagnosi di Parkinson e sani, e/o con familiarità con la malattia e età avanzata. Per aderire al progetto o avere informazione è possibile visitare il sito della Michael J Fox Foundation.

“Abbiamo necessità di nuovi volontari – spiega Paolo Barone, professore dell’Università degli Studi di Salerno che partecipa al progetto – con mutazioni genetiche associate con il Parkinson, che monitoreremo per almeno cinque anni, con l’obiettivo di arrivare a identificare in tempi brevi un biomarcatore predittivo di malattia. Per il Parkinson, infatti, non esistono indicatori validati come avviene per altre malattie dove, ad esempio, i livelli di colesterolo alto sono possibili precursori dello sviluppo di patologie cardiovascolari. Per il Parkinson, questi ‘segnali’ potrebbero essere proprio la perdita dell’olfatto (iposomia) o i disturbi del sonno nella fase Rem; se si confermassero tali avrebbero una duplice valenza: potranno essere di aiuto nella diagnosi e nella gestione della malattia, ma soprattutto contribuire ad orientare al meglio le sperimentazioni cliniche, a ideare e poi testare nuovi farmaci mirati misurando in maniera più veloce i cambiamenti biologici che si attuano, ancora prima di verificare il miglioramento clinico. Avere quindi un fattore prognostico è un punto nodale per l’evoluzione e il trattamento della malattia”.

Non servono però volontari qualunque, ma dell’area salernitana, e con la mutazione del gene dell’alfa-sinucleina in particolare. “Sappiamo – continua Barone – che in questi territori ci sono molte famiglie che ancora non hanno sviluppato la malattia pur avendo questo gene mutato che si è concentrato nell’area campana per un tipico esempio di ‘founder effect’. È possibile infatti ipotizzare che l’alterazione genetica dell’alfa-sinucleina sia giunta a Salerno e dintorni attraverso i coloni della Magna Grecia. Questi ‘portatori’ si stanziarono sulle nostre coste intorno all’800 a.C. I salerniani, a loro volta, hanno poi fatto espatriare la mutazione trasferendola anche in America, ad esempio a New York, quando partirono nel 1911 in cerca di lavoro e fortuna. Sebbene si tratta di una forma di malattia piuttosto rara, potrà comunque fornire diverse informazioni utili a capirne l’evoluzione, specie in fase molto precoce, e a ricercare possibili biomarcatori predittivi”.

Credits immagine: via Pixabay

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