Due geni per la sclerosi multipla

Il risultato arriva contemporaneamente da tre studi: due mutazioni genetiche sono alla base di un maggior rischio di sviluppare la sclerosi mulltipla, la malattia autoimmune per cui la mielina prodotta dall’organismo a protezione dei neuroni viene riconosciuta come estranea e per questo attaccata dalle cellule immunitarie. Si tratta di variazioni del gene IL7R, il recettore alfa per l’interleuchina 7, e il gene IL2R, il recettore alfa per l’interleuchina 2.

Che alla base della sclerosi multipla ci sia una componente genetica è ormai un dato acquisito, ma finora i geni coinvolti erano stati individuati solo sul cromosoma 6. Ora due studi pubblicati su Nature Genetics e uno su New England Journal of Medicine puntano l’obiettivo sul cromosoma 5. qui si trova il gene IL7R, in cui la mutazione di una singola base è associata a un aumento del 30 per cento della probabilità di sviluppare sclerosi multipla. “La nostra scoperta è importante poiché le variazioni conosciute finora spiegano solo meno della metà delle componenti genetiche della malattia”, ha spiegato Simon Gregory, genetista molecolare al Duke’s Center for Human Genetics e autore degli studi.
 
Una percentuale interessante dal punto di vista genetico ma troppo bassa per pensare di condurre uno screening di popolazione alla ricerca di questa variante come fattore di rischio, come ha sottolineato Margaret Pericak-Vance, genetista all’Università di Miami in Florida, autrice dello studio pubblicato su Nejm che illustra come un’altra mutazione, quella del gene IL2R sia anch’essa coinvolta nello sviluppo della malattia.

L’interleuchina-2 e la 7 sono proteine del sistema immunitario importanti nella regolazione delle cellule T, quelle che si occupano di neutralizzare gli elementi considerati estranei dall’organismo per preservarne l’integrità. Cellule che, nel caso della sclerosi multipla, sono come impazzite perché aggrediscono la mielina che riveste i neuroni, causando così una loro degenerazione.

La scoperta delle due mutazioni, sebbene non comporti un diretto vantaggio nella diagnosi della malattia, fornisce nuovi elementi sullo sviluppo della sclerosi multipla e suggerisce vie per lo sviluppo di strategie terapeutiche. “Si tratta di un piccolo passo concettualmente molto importante perchè fornisce indicazioni sui processi alla base della malattia”, ha concluso George Ebers, nurologo della Oxford University, uno degli autori dello studio. (l.g.)

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