Ecco come la materia oscura “parla” con la materia visibile

materia oscura
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E’ misteriosa, e a tratti ancora ci sfugge, ma non per questo i ricercatori hanno smesso di studiarla. Un team di astrofisici della Sissa di Trieste ha appena identificato un nuovo modo con cui la materia oscura comunicherebbe e interagirebbe con quella ordinaria. L’interazione, definita in termini tecnici “accoppiamento non minimale”, è in sostanza un modo leggermente diverso di rispondere alla gravità e alle leggi della relatività. Secondo questa teoria proposta dagli scienziati la materia oscura sembra “parlare” in maniera un po’ più semplice con la materia ordinaria e visibile di quanto creduto finora. La materia oscura sente lo spazio-tempo in modo diverso. I dettagli sono descritti in un lavoro pubblicato su The Astrophysical Journal.

Come “parla” la materia oscura

La materia oscura è ancora un mistero sotto diversi punti di vista. Non sappiamo di cosa è fatta, non la possiamo catturare o vedere. E ci è manifesta soltanto in maniera indiretta, tramite esperimenti che ricostruiscono la sua presenza. Anche la sua interazione con la materia ordinaria, quella che invece conosciamo bene, presenta ancora numerosi punti interrogativi cui rispondere. Il modello tradizionale accreditato prevede che l’interazione fra le due materie – dunque anche il loro linguaggio – avviene attraverso la gravità e le leggi della relatività generale di Einstein. In questo quadro materia oscura e ordinaria rispondono allo stesso modo alla gravità e alla geometria dello spazio-tempo di Einstein. Insomma, la lingua parlata è la stessa.

Un nuovo punto di vista

Ma secondo tre scienziati della Sissa – lo studente di dottorato Giovanni Gandolfi, insieme ai due supervisori Andrea Lapi e Stefano Liberati – la materia oscura comunicherebbe invece in maniera un po’ diversa. “Nella rappresentazione standard dell’interazione fra materia oscura e materia ordinaria ci sono alcune criticità”, spiega a Galileo il primo autore, Giovanni Gandolfi. Per risolverle e aggiustare il tiro, diversi gruppi di ricerca hanno proposto altri modelli. “Nel nostro caso – prosegue Gandolfi – si tratta di un rilassamento della teoria standard, secondo cui i due tipi di materia sentono la geometria dello spazio-tempo allo stesso modo”.

In pratica, la materia oscura si comporterebbe e comunicherebbe in maniera leggermente differente, grazie a questa nuova proprietà ipotizzata dai ricercatori, che consente alle due materie di sentire in modo diverso lo spazio-tempo. “Questa nuova interazione, chiamata accoppiamento non minimale, sembra migliorare alcuni aspetti della descrizione della materia oscura”, aggiunge Gandolfi. “E non va ad intaccarne le caratteristiche e la struttura proposta dal modello standard”. Insomma, si tratta di una correzione che risolve alcuni problemi senza far cadere l’impalcatura portante.

Verso l’infinito e oltre

L’autore rimarca che sono allo studio anche altri modelli alternativi: siamo ancora nel campo delle ipotesi. “Il modello più tradizionale funziona bene su larga scala, a livello cosmologico, quando si parla di ammassi di galassie”, commenta l’autore. “Su scale ridotte, per esempio all’interno della singola galassia, sorge qualche problema. Ed è lì che siamo andati a indagare”. Per testare la loro teoria e rappresentare la materia oscura, i ricercatori hanno esaminato i dati e le “curve di rotazione” di migliaia di galassie a spirale. Hanno creato un modello, poi confrontato con altri due modelli alternativi. Successivamente hanno studiato l’interazione fra materia oscura e materia ordinaria.

“Il nostro modello descrive bene la distribuzione della materia oscura all’interno delle galassie”, commenta Gandolfi. “Anche la nuova forma di comunicazione da noi proposta sembra per ora ben sostenuta dai dati e dal confronto con le altre evidenze. Ovviamente saranno necessari ulteriori approfondimenti per comprendere meglio questa interazione”. Al momento il modello funziona bene all’interno delle singole galassie. “Uno degli obiettivi futuri – conclude l’autore – sarà quello di capire se possa essere esteso anche su scala più ampia, a livello degli ammassi di galassie”. Sempre ricordandosi dei limiti degli esperimenti, si va “verso l’infinito e oltre!”.

Riferimenti: The Astrophysical Journal