Epidemia di Mers, cosa sta succedendo in Corea del Sud

“Nuovi casi”. “Crescono i contagi”. “Allarme in Oriente”. Da giorni si rincorrono sui giornali gli aggiornamenti sulla sindrome respiratoria mediorientale da coronavirus (Mers-Cov) in Corea del Sud, dove, secondo gli ultimi dati diffusi, il virus avrebbe fatto la sua settima vittima. La crescita, effettiva, del numero dei morti, così come quello dei contagiati, richiama alla mente timori già conosciuti in passato, con la Sars, l’aviaria e più recentemente con l’ebola. Ma dobbiamo davvero preoccuparci? E com’è la situazione in Corea del Sud? Proviamo a fare chiarezza.

Cos’è la Mers da coronavirus (Mers-Cov)

La sindrome respiratoria mediorientale è una malattia respiratoria di origine virale, causata da un coronavirus inizialmente identificato in Arabia Saudita nel 2012, ricorda l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Fanno parte della stessa famiglia virus responsabili del comune raffreddore quanto di patologie come la Sindrome acuta respiratoria severa (Sars), e non a caso si parla per la Mers come della nuova Sars talvolta. L’infezione si presenta con sintomi – laddove presenti, sono infatti stati riportati casi asintomatici – quali febbre, tosse, difficoltà nella respirazione (a volte con polmonite) e occasionalmente disturbi gastrointestinali e insufficienza renale. I sintomi sono più gravi e più pericolosi nelle persone anziane, nelle persone immunodepresse e nei malati cronici, ma nel resto dei pazienti sono piuttosto confondibili con quelle di un raffreddore, motivo per cui identificare l’infezione non è sempre semplice.

Da dove arriva il virus e come si trasmette

Il virus responsabile della sindrome respiratoria è di origine animale (probabilmente il suo reservoir è nei cammelli), ma per la grande maggioranza dei casi riportati finora (la maggior parte nella penisola araba: 1.179 al 3 giugno, con una mortalità di circa il 37%) la trasmissione è avvenuta da uomo a uomo, per contatto molto stretto (come avviene per esempio in famiglia, o nel contatto tra pazienti e operatori sanitari). L’esatto meccanismo di trasmissione non è noto – se per via aerea o contatto, sebbene sembri più probabile la prima – ma il rispetto delle basilari norme igieniche (lavaggio mani e protezione delle vie aeree) e accortezze quali l’utilizzo di mascherine e adeguate procedure di disinfezione e gestione dei rifiuti sono raccomandabili soprattutto agli operatori sanitari e a tutti coloro a stretto contatto con gli infettati.

Il primo caso in Corea del Sud

Il virus è stato identificato in 25 paesi, la maggior parte nella zona del Medio Oriente, ma casi sono stati rinvenuti anche in Africa,Europa (Italia compresa), Usa, nelle Filippine e in Malesia. Dalla fine di maggio il virus è stato però rinvenuto anche in Cina e Corea del Sud. Qui il paziente zero è stato segnalato il 20 maggio: un uomo di 68 anni che aveva viaggiato recentemente nella penisola araba. Quello ora in Oriente è il focolaio più grande, che conta ora95 casi e altri 2.500 in quarantena (e non è da escludersi un aumento dei casi, per effetto della mancata applicazioni preventive da parte delle persone e delle autorità nelle fasi iniziali).

La situazione in Corea del Sud

La relativa grandezza del focolaio è dovuta in parte al fatto che il primo paziente ha girato quattro ospedali prima di ricevere la diagnosi di infezione da coronavirus, entrando in contatto, oltre che con familiari e amici, anche con un notevole numero di operatori sanitari. A questo vanno aggiunte le condizioni degli ospedali sudcoreani: luoghi affollati, in cui si mescolano pazienti, operatori sanitari e famigliari, i quali molto spesso prendono parte alle operazioni di assistenza dei malati (contro Mers-Cov non esistono un vaccino o un trattamento specifico, ma solo cure di supporto).

“I nostri ambienti ospedalieri affollati sono una debolezza”, racconta sul New York Times Cho Sung-il, della Graduate School of Public Health della Seoul National University: “Le probabilità di contatto sono più alti in un pronto soccorso di un ospedale sudcoreano dove, per esempio, le sedie e i letti di solito sono disposti vicini tra loro”. A questo si aggiunge il fatto che molte persone preferiscano far riferimento ai grandi ospedali, contribuendoli ad affollarli e a creare una condizione favorevole alla diffusione del virus. La maggior parte dei casi riportati finora arrivano dall’ospedale di St Mary’s, a Pyeongtaek, e dal Samsung Medical Center di Seul, entrambi visitati dal paziente zero.

Il rischio dentro e fuori la Corea del Sud

La paura della diffusione del virus ha spinto a chiudere circa 2mila scuole nel paese, anche se, riporta la Cnn, dei casi identificati in Corea del Sud solo uno è un adolescente. Sono stati annullati anche diversi concerti e raduni, e sono impennate le vendite di mascherine e disinfettanti. Comportamenti comprensibili che hanno intimorito Hong Kong, spingendolo a sconsigliare viaggi verso la Corea del Sud se non proprio necessari. Di diverso parere per ora l’Oms, che ha dichiarato: “data la mancanza di prove sulla trasmissione sostenuta da uomo a uomo all’interno della comunità, l’Oms non consigliare procedure speciali nei punti di ingresso, o di viaggio o restrizioni commerciali in merito”.

Va detto infatti che le analisi compiute sul virus finora non mostrano nulla di così allarmante in termini di mutazioni genetiche e contagiosità. Sebbene infatti non sia possibile escludere dei cambiamenti, al momento il rischio di contagio è alquanto basso: mediamente un caso di Mers causa l’infezione di un’altra persona (in epidemiologia si parla di tasso di riproducibilità di base, R0, che per confronto è pari a circa 2 nell’ebola e tra 15-17 per il morbillo).

Anche la mortalità registrata in Corea del Sud finora si è mantenuta sotto la media, attestandosi a meno del 10% (causando morti, come da atteso, per chi soffriva di altre malattie, quali distrubi cardiovascolari, cancro e Bpco), anche grazie all’identificazione precoce di casi moderatamente gravi da parte delle autorità durante l’epidemia. Fuori dal paese il rischio di infezione è molto basso: solo esser stati negli ospedali interessati o aver viaggiato nei paesi più colpiti, come l’Arabia Saudita, comporterebbe un rischio di infezione.

Via: Wired.it

Credits immagine: NIAID/Flickr CC

2 Commenti

  1. Per Arabia Sadita cosa si intende? viaggi turistici in resort (visto che sembra che i cammelli siano i reservoir del virus) oppure anche viaggi di lavoro in citta’ come Dubai? Oppure solo popolazione locale?
    I 1179 casi al 3 giugno dove si sono verificati??? e da quanto tempo e’ stato calcolato il contagio di 1179 casi (1 anno, 1 mese o quanto?)
    Sarei grata per una risposta con maggiori dettagli.
    Grazie

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here