Non tutte le previsioni di Einstein erano giuste

Complimenti ancora, Albert Einstein. Armato quasi soltanto di carta e penna, sei riuscito a intuire che la massa interagisce con lospazio-tempo in un modo del tutto bizzarro e controintuitivo. E gli ultimi cento anni sono stati costellati di conferme sperimentali di quella intuizione. Coronati, com’è ormai arcinoto, dal primo rilevamento di un’onda gravitazionale emessa da due buchi neri che si sono fusi oltre un miliardo e mezzo di anni fa. Una scoperta che, con ogni probabilità, varrà il premio Nobel agli ideatori dell’apparato sperimentale che la hanno resa possibile. Ma, come in ogni bella storia che si rispetti, c’è un ma. Persino il grande Einstein, in un paio di circostanze, ha preso qualche cantonata. A ricordarlo, sulle pagine del New York Times, è Lawence M. Krauss, fisico teorico della Arizona State University (sì, proprio quello che per primo, in tempi non sospettitwittò dell’imminente annuncio della scoperta delle onde gravitazionali). Ecco, dunque, i quattro più grandi errori di Einstein.

Entanglement quantistico
Si tratta di un fenomeno quantistico il cui nome è intraducibile in italiano. Nella fattispecie, si parla di entanglement quando due (o più) particelle quantistiche sono intrinsecamente legate l’una all’altra in modo tale che ogni misura eseguita su una delle particelle si ripercuote istantaneamente sulle altre, indipendentemente da quanto queste sono lontane. Il fenomeno presuppone una sorta di azione immediata a distanza che non è mai andata giù al fisico di Ulm, che si rifiutava di credere che due oggetti potessero “parlarsi” anche se lontanissimi. “Einstein”, spiega Krauss, “non credeva che l’azione a distanza sarebbe mai stata verificata sperimentalmente. Era convinto che fosse qualcosa di non fisico. Parlava dell’entanglement come di un esempio che mostrasse perché la meccanica quantistica fosse errata, ma in verità è giusta”. Tanto che il fenomeno è stato verificato sperimentalmente più di una volta. Una delle prove più cogenti risale a ottobre scorso, quando un’équipe della Delft University of Technology, in Olanda, ha pubblicato una lettera su Nature in cui dimostrava sperimentalmente l’entanglement per due particelle a quasi un chilometro e mezzo di distanza.

Lenti gravitazionali
Tra le altre cose, Einstein descrisse un ipotetico “effetto lente causato da una stella che con il suo campo gravitazionale devia la luce”, ovvero l’idea che una massa potesse deviare la luce, aggiungendo che “naturalmente non c’è alcuna speranza di osservare direttamente questo fenomeno”. L’intuizione teorica è giusta. La previsione sperimentale un po’ meno: “Einstein ha pensato soltanto alle stelle”, commenta Krauss. “Anche le galassie, in realtà, sono ottime lenti gravitazionali. Non era un granché come astronomo”. Le lenti gravitazionali, in effetti, sono tra gli strumenti più utilizzati per scandagliare l’Universo.

Costante cosmologica
Lui stesso lo definì “il più grande abbaglio della mia vita” (anche se ultimamente c’è qualche dubbio sulla veridicità della citazione). Ecco la storia: l’Universo sarebbe dovuto essere in contrazione a causa della natura attrattiva della forza di gravità; per controbilanciare tale effetto, e supportare matematicamente l’idea di un Universo statico, Einstein aggiunse alle sue equazioni untermine repulsivo. La costante cosmologica, per l’appunto. Peccato che, qualche anno dopo, Edwin Hubble si accorse che l’Universo non era affatto statico, ma in espansione, il che indusse Einstein a scartare l’idea di una costante cosmologica che lo tenesse statico.

Onde gravitazionali
Avete letto bene: onde gravitazionali. Einstein le teorizzò un secolo fa, ma vent’anni dopo, nel 1936, cambiò idea. “Scrisse un articolo”, spiega Krauss, “dicendo che le onde gravitazionali non potevano esistere”. Si sbagliava: i suoi nuovi calcoli erano errati. Secondo la ricostruzione del New York Times, infatti, l’articolo fu rifiutato dalla rivista Physical Review dopo che un revisore, il matematico Howard P. Robertson, vi trovò un errore. Einstein, irritato, decise di pubblicare il lavoro su un’altra rivista, ma si rese conto dello sbaglio e lasciò perdere. Meno male.

Via: Wired.it
Credits immagine: Mayu Shimizu/Flickr CC

 

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