“Europei, investite di più”

Un treno da non perdere. È quello dello sviluppo legato alle nanotecnologie. Un’occasione che però l’Europa rischia davvero di lasciarsi sfuggire, sebbene parta in prima fila. È questo l’allarme lanciato dal Philippe Busquin, commissario europeo per la ricerca nel corso della conferenza “Communicating European Research” che si è tenuta a Bruxelles l’11 e il 12 maggio scorsi. Nel periodo tra il 1997 e il 1999 l’Unione Europea ha sviluppato il 32 per cento della conoscenza mondiale nel campo della nanotecnologia contro il 24 per cento degli Stati Uniti e il 12 per cento del Giappone. Ma ora a causa dei minori investimenti in questo campo rispetto alle altre grandi potenze rischia di rimanere ai margini dello sviluppo economico che ne potrà derivare.Una preoccupazione che ha indotto la Commissione a pubblicare un documento di indirizzo per il finanziamento di questo campo di ricerca, “Towards a European Strategy for Nanotechnology”. Ma quanto si investe in Europa? In termini di spesa pubblica assoluta l’Unione investe un numero di risorse paragonabili a quelle di Stati Uniti e Giappone. Se consideriamo però la spesa pro capite la cifra è piuttosto contenuta : 2,4 euro per cittadino europeo, contro i 3 ,7 euro degli Stati Uniti e i 6,2 euro dei giapponesi. Senza considerare che Usa e Giappone hanno già approvato misure di finanziamento per far salire la cifra rispettivamente a 5 e 8 euro pro capite. L’Europa può contare al momento sui 350 milioni di euro del 6° programma quadro, cifra che il commissario ha annunciato di voler duplicare nel prossimo programma (2007-2011).“In Europa rischiamo di frammentare le nostre conoscenze e potenzialità” ha affermato Busquin. Per questo il 6° PQ per il finanziamento alla ricerca ha introdotto due nuovi strumenti di aggregazione per i ricercatori: i network di eccellenza e i progetti integrati. “Mettere insieme il meglio della ricerca europea così da evitare anche la fuga dei cervelli”, ha sottolineato Busquin, “è importante anche per i ricercatori stessi che si sentono così considerati nella maniera adeguata”. Progetti quindi che raccolgono il meglio della ricerca europea in un determinato campo e che mettono in collegamento fra loro tutte le fasi della ricerca, dal laboratorio al trasferimento tecnologico, fino alla comunicazione e disseminazione dei risultati raggiunti.La due giorni di Bruxelles è stata l’occasione per presentare anche alcuni dei 200 progetti finanziati grazie al 6 PQ. E le nanotecnologie sono state protagoniste. Come nel caso di MOLTOOLS, Advanced molecular tools for array-based analyses of genomes, transcriptomes, proteomes, and cells. Un progetto integrato che metterà insieme 15 partner provenienti da 10 paesi europei impegnati nello studio di strumenti più efficienti per lo studio del genoma umano. Non quello della nostra specie in generale ma quello di ogni singolo individuo. Come? “Studiando le tre milioni di differenze che esistono fra i genomi delle persone, quelle differenze che ci rendono degli individui diversi gli uni dagli altri”, ha spiegato Marc Zabeau dell’Università di Gent. Lo strumento d’elezione per fare questo sono i microarray, minuscoli supporti su cui è possibile eseguire migliaia di test. Il progetto si occuperà di mettere alla prova queste procedure in buona parte ancora sperimentali. Proprio su questa nanotecnologia si basa il primo progetto messo in atto dal network di eccellenza TRANS-BIG (Translating molecular knowledge into early breast cancer management): valutare l’espressione di 70 geni che si sono dimostrati collegati al decorso del tumore al seno e capire se i loro valori possono servire per fare delle previsioni sul tipo di tumore che si svilupperà e quindi di cure che devono essere intraprese.L’uso delle nanotecnologie in campo medico e più in generale biologico é al centro di un altro progetto, il network d’eccellenza “Nano2Life”. che vede riuniti 23 partners, 31 istituzioni associate per un totale di 870 fra fisici, chimici, ingegneri, medici e biologi impegnati nella ricerca di base, in quella applicata ma anche a sviluppare la riflessione a su questo campo di ricerca praticamente ancora inesplorato. “A questo scopo abbiamo costituito un comitato di etica, l’unico al mondo, che cominci a sviluppare i temi che la ricerca pone”, ha affermato Patrick Boisseau dell’Università di Grenoble. Un primato che, come quello raggiunto negli anni Novanta, l’Europa non dovrebbe farsi scappare.

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