Fermare il mercato nero dell’avorio col Dna

Zanne strappate per fabbricare gioielli, amuleti, manici, e tasti di pianoforti e tanti altri oggetti in avorio, per ragioni culturali, e soprattutto economiche. Incuranti dell’immenso danno che queste pratiche causano alle popolazioni di elefanti. Negli ultimi anni infatti il mercato nero sta raggiungendo tassi che minacciano l’estinzione di intere popolazioni di questo pachiderma. Ma nella lotta al bracconaggio e al traffico illegale di avorio ora, e sempre di più, scende in campo anche l’analisi del Dna (vedi Galileo: Avorio, sulle tracce delle partite illegali), utile per identificare la zona di provenienza di un esemplare di elefante ucciso. Se ne discute questa settimana su Science.

Il prezzo di un kg di avorio sul mercato nero può raggiungere i 3 mila dollari (e non è un caso che se ne parli come di “oro bianco”) e il valore di una sola zanna d’elefante vale circa 10 volte il salario medio percepito dai cittadini di molti paesi africani. Nel 2014, secondo uno studio congiunto del Programma per l’ambiente delle nazioni unite e dell’Interpol, ogni anno venivano uccisi 25.000 elefanti in Africa, per un giro di affari pari a circa 188 milioni di dollari (Galileo: Wwf cresce il mercato globale del bracconaggio)

Africa e Asia sono il punto di partenza del mercato nero, in quanto costituiscono il primo anello della catena, non solo per la quantità di animali che ospitano ma anche perché da lì parte il trasporto vero e proprio. Per cercare di arginare il bracconaggio, negli anni, sono stati indetti numerosi provvedimenti che comprendono un’intensa e rigida rete di controllo, concentrata nei nodi principali di trasporto, dagli aeroporti fino ad arrivare ai più piccoli confini, e monitorata in collaborazione con i governi. Ma anche la scienza prova ad arrestare il fenomeno, con strumenti che vanno dall’uso del metodo del carbonio 14 all’analisi del Dna.

Proprio di questo si occupa da tempo Samuel Wasser dell’Università di Washington, che dopo aver analizzato 28 sequestri di avorio effettuati tra il 2006 e il 2014 – ciascuno dei quali conteneva mezza tonnellata di zanne – è riuscito ad elaborare delle ipotesi sulle tratte del bracconaggio. Negli ultimi dieci anni, secondo Wasser, il mercato nero sarebbe stato alimentato da pochissime aree africane.

Per identificare le aree di bracconaggio delle popolazioni di elefanti, i ricercatori hanno per prima cosa campionato il Dna del letame, dei peli e di altri tessuti di 1.350 elefanti (sia nella foresta che nella savana), di 71 luoghi diversi distribuiti in 29 paesi africani, riuscendo così ad avere una mappa ben dettagliata di tutte le popolazioni di questi pachidermi. In seguito hanno analizzato il Dna dell’avorio confiscato, assegnandolo così alle popolazioni d’origine di tutto il continente.

I risultati della ricerca hanno così evidenziato che più del 96% dei sequestri di avorio ha origine principalmente in 4 zone geografiche, ma che dal 2007 il commercio si è concentrato in due sole aree. Nello specifico, negli ultimi nove anni circa la maggior parte delle zanne degli elefanti della savana erano originarie dell’area del Tanzania e del Mozambico, mentre quelle degli elefanti della foresta avevano origine nella zona del Gabon, della Repubblica del Congo e Repubblica Centrafricana. Inoltre, secondo le analisi condotte dagli esperti la maggior parte dei sequestri di avorio (23 su 28) sono stati spediti da luoghi diversi dal paese di origine.

I ricercatori sostengono che la loro tecnica forense di analisi del Dna potrà essere applicata anche il altri casi, e potrà aiutare le forze dell’ordine a identificare in tempo e monitorare gli ‘hotspots’ principali del bracconaggio. “Speriamo che i nostri risultati costringeranno i paesi coinvolti ad assumersi una maggiore responsabilità, incoraggiando la comunità internazionale a lavorare a stretto contatto con questi paesi per fermare il bracconaggio”, commenta infine Wasser:  “Aumentare l’applicazione della legge in queste aree potrebbe aiutare a limitare le future perdite di elefanti in Africa e interrompere finalmente questa criminalità organizzata internazionale”.

Riferimenti: Science DOI: 10.1126/science.aaa2457

Credits immagine: Michael Nichols

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