Fukushima, silenzi e bugie

Chiamatelo il paradosso di Fukushima: tutti hanno visto le immagini della centrale nucleare investita dallo tsunami, ma nessuno sa con esattezza cosa sia successo là dentro. Se, da una parte, la comunità scientifica vuole fare luce sulle dinamiche dell’incidente, dall’altra, il gestore Tokyo Electric Power Company (Tepco) si rifiuta di diffondere i dati relativi alla sicurezza dei suoi reattori. Secondo Nature, che questa settimana ha dedicato la copertina proprio alla questione, c’è un solo modo per conoscere la verità: nazionalizzare l’impianto e avviare indagini indipendenti. 

Sembra una procedura scontata, ma non per il Giappone. Le autorità del paese non sono mai state campioni di trasparenza, figuriamoci quando si ha a che fare con una azienda privata come Tepco. L’ossessione per il controllo assoluto sulle informazioni, ha portato il colosso dell’energia giapponese a tenere nascosta per mesi la reale natura dell’incidente avvenuto nella centrale di Fukushima – anche se proprio di recente i primi giornalisti hanno varcato le soglie della centrale

Fusione o non fusione?
Innanzitutto, Tepco ha comunicato solo a maggio il fatto che dentro i reattori 1, 2 e 3 della centrale si fosse verificata la fusione completa del combustibile radioattivo. Il materiale radioattivo è colato dentro il basamento dell’impianto creando numerose fratture. La rivelazione ha investito il Giappone come una pioggia fredda. Per due mesi, le squadre di emergenza avevano pompato grandi quantità di acqua marina all’interno dei reattori nel tentativo di raffreddarli. Nessuno, però, aveva tenuto conto del fatto che l’acqua di raffreddamento stesse colando direttamente in mare attraverso le falle, causando sacche diinquinamento radioattivo mai viste prima. Un articolo pubblicato su Environmental Science and Technology ha riscontrato concentrazioni di cesio-137 ben 50 milioni di volte superiori al normale. Tuttavia, il livello di contaminazione non danneggerebbe direttamente l’uomo o gli animali, sebbene non siano ancora del tutto noti gli effetti a lungo termine sull’ecosistema marino. 

Tutta colpa del gas?
Un’altra incognita riguarda la natura delle esplosioni avvenute all’interno dei reattori nucleari. Secondo la versione diffusa dalla Tepco, la causa della deflagrazione sarebbe riconducibile alla pressione esercitata dall’idrogeno gassoso liberato durante il surriscaldamento del nocciolo. Ma a un esame più attento, risulta molto più probabile che si sia trattato di una esplosione nucleare. Le prove a favore di quest’ultima ipotesi sono numerose; per esempio, le autorità giapponesi hanno trovato tracce di elementi pesanti come il plutonio-238 a ben 45 km di distanza da Fukushima. Considerate la concentrazione e la massa elevate di questo elemento, è impossibile che sia stato trasportato a terra dal fallout di marzo o da quello di altri eventi accaduti in passato.

La presenza di plutonio a una tale distanza può essere spiegata solo da un’esplosione nucleare a alta energia. Inoltre, la parziale fusione subita dalle travi di acciaio dei reattori e le fumate di colore nero liberate dall’impianto non possono essere state causate – in nessun modo – da una fuga di gas idrogeno. 

Fukushima è ancora pericolosa?
Prima di avviare qualsiasi procedura di bonifica, è necessario raffreddare il combustibile nucleare situato all’interno dei reattori. Infatti, se la temperatura del nocciolo rimane troppo elevata, la fissione nucleare prosegue indisturbata liberando ogni secondo nuovi elementi radioattivi. La Tepco sa perfettamente che la messa in sicurezza di Fukushima potrebbe trasformarsi in una battaglia impossibile da vincere, ma non ama troppo andarlo a raccontare in giro.  Già il 26 marzo, l’ Agenzia per la sicurezza nucleare giapponese (Nisa) aveva dato notizia che le analisi condotte da Tepco rivelavano tracce di cloro-38 nell’acqua di raffreddamento dell’impianto. Questo elemento radioattivo ha una vita molto breve (la sua concentrazione dimezza ogni 37 minuti) e non è possibile trovarlo in natura se non durante un processo di decadimento radioattivo. Tuttavia, nel giro di un mese, l’azienda giapponese ha opportunamente smentito il suo stesso report di analisi, sostenendo l’assenza di tracce di cloro-38. Alla fine, però, una commissione di inchiesta parlamentare ha nuovamente ripreso in mano i dati Tepco dimostrando che l’azienda aveva mentito. 

La via della trasparenza
Al di là della sua tragica natura, l’incidente di Fukushima verrà ricordato anche per i lunghi silenzi della Tepco. In uno stato democratico è impensabile che possa esistere un’azienda privata capace di nascondere informazioni di vitale importanza, soprattutto in situazioni di crisi. Sapere se è in corso o meno una fusione del nocciolo può cambiare radicalmente i piani di emergenza messi in atto dalle autorità. Di fronte all’omertà della Tepco, l’unica soluzione adottabile, secondo Nature, per far fronte in modo concreto all’emergenza Fukushima sembra quella di nazionalizzare la centrale nucleare e metterla sotto il controllo dello stato. Una volta a disposizione di tutti i dati e le informazioni critiche, gli scienziati e i gruppi di esperti potrebbero gestire la crisi in modo migliore. La trasparenza è tutto, e fa quasi rabbia sapere che Tepco si sia addirittura rifiutata di consegnare alle autorità i manuali di sicurezza dell’impianto. Il perché? Questioni di proprietà intellettuale. 

Via wired.it

Credits immagine: Abode of Chaos, Creative Commons, Flickr

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