Galveston: il più grande uragano della storia

Erik Larson
Il tifone di Galveston
Garzanti, 2001
pp. 273, £ 32.000

Galveston Bay è il titolo di una canzone di Bruce Springsteen. Ma se nei tardi anni Settanta evocati dal Boss, la città texana era solo un focolaio di disordini razziali tra americani e immigrati vietnamiti o il regno della pesca dei gamberi stile Forrest Gump, molti anni prima è stata il teatro di uno dei fenomeni naturali più devastanti del pianeta. Il Grande Uragano dell’8 settembre 1900. Venti a 125 nodi e onde lunghe capaci di demolire tutto, perfino i fortini costruiti qualche anno prima per la guerra contro la Spagna. In una sola notte, tutta la vecchia città fu spazzata via, insieme ad almeno 6 mila dei suoi abitanti. Al centro del racconto di Larson c’è la tragica figura di Isaac Cline, il superbo meteorologo della stazione locale, che non riuscì a prevedere la portata dell’evento anche quando i suoi terribili segni erano ormai del tutto evidenti. Attorno a lui c’è tutta la Galveston del tempo, una prospera città su un’isola nel Golfo del Messico, all’epoca rivale di Houston per grandezza e prestigio, il regno del turismo, delle barche per la pesca e dei commerci marittimi. La vicinanza del grande delta del Mississippi e di Cuba la rendeva un porto cruciale, dove era particolarmente sentita l’affidabilità delle previsioni meteorologiche per tutti i marinai e le navi della zona.

Ma Galveston è solo un anello della rete del nascente Ufficio Meteorologico degli Stati Uniti, diretto da Willis Moore. Il controllo del clima era, allora come oggi, d’interesse scientifico, ma soprattutto politico, economico, sociale e, ovviamente, militare. Anche queste componenti e rivalità hanno portato a sottovalutare il disastro imminente. La percezione dei tempi è resa da Erik Larson in modo ammirevole: è l’epoca del telegrafo, delle locomotive a vapore, delle grandi navi a vela accanto alle colossali barche dagli scafi di acciaio, dei giornali stipati di notizie e stampati con caratteri a piombo. Ma il libro, una cronaca emozionante basata su un accurato lavoro documentario, è anche il luogo dove riflettere sulla capacità predittiva della scienza. L’uragano di Galveston è stato una tragedia di proporzioni colossali che diede un colpo mortale alla speranza della nascente meteorologia di controllare con esattezza i fenomeni climatici. Forse oggi le cose sono migliorate e l’utilizzo dei satelliti e dei computer permette un’accuratezza migliore delle previsioni. Ma appunto, sempre di previsioni si tratta e tutti noi abbiamo sperimentato almeno una volta la delusione di un week end rovinato nonostante le promesse del meteo serale. Il clima sul nostro pianeta rimane, nonostante tutto, uno dei fenomeni più complessi da studiare. La costa sudorientale degli Stati Uniti e i Carabi sono ancora oggi il teatro di violenti uragani dai nomi di donna. A proteggere Galveston, dal 1910 c’è una diga alta 5 metri e larga 8. Ma le compagnie assicurative, sempre previdenti, hanno da tempo lasciato la zona.

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