Categorie: AmbienteVita

Gli orsi polari sopravviveranno allo scioglimento dei ghiacci

Sono il simbolo del riscaldamento globale, minacciati di estinzione dallo scioglimento delle calotte polari. Gli orsi polari, però, potrebbero sopravvivere anche senza le loro prede preferite: le foche. Lo suggerisce uno studio dei ricercatori del Museo Americano di Storia Naturale, pubblicato su Plos One. Secondo i nuovi calcoli, i candidi plantigradi potrebbero salvarsi cacciando caribù e oche delle nevi sulla terraferma.

Gli orsi polari, Ursus maritimus, sono abituati a non alimentarsi per giorni nel periodo estivo, ma con le dovute limitazioni. Con l’innalzamento delle temperature, infatti, il ghiaccio manca per periodi sempre più lunghi e il grasso accumulato nel periodo primaverile, cibandosi di cuccioli di foca e carcasse di trichechi e di cetacei, non basta più. Ma fortunatamente (per loro) il cibo sulla terraferma c’è, e secondo le osservazioni condotte in Canada da Linda Gormezano e Robert Rockwell del Museo Americano di Storia Naturale, sembra anche che gli orsi inizino a sfruttarlo.

“Gli orsi polari sono molto opportunisti, tanto che è ormai ampiamente documentato il loro consumo di diversi tipi di cibo sulla terraferma” ha dichiarato Rockwell, che ha studiato l’ecologia artica della baia di Hudson occidentale per quasi 50 anni. “L’analisi degli escrementi e le osservazioni dirette ci hanno mostrato che orsi polari subadulti, gruppi familiari e anche alcuni maschi adulti stanno già mangiando piante e altri animali, durante il periodo in cui il ghiaccio è più sottile e non consente loro di cacciare le foche“. Infatti sulla costa occidentale della baia di Hudson, nella provincia di Manitoba, gli studiosi hanno osservato questi mammiferi cacciare anche i caribù.

Gomezano e Rockwell hanno così calcolato il bilancio energetico tra i costi della caccia e l’apporto calorico di prede come il caribù, ma anche di oche delle nevi e delle loro uova. E hanno scoperto che probabilmente le risorse della terraferma sono più che sufficienti per sopperire al bisogno energetico degli orsi polari. Un orso, quindi, dovrebbe mangiare in media un caribù ogni 27 giorni per scongiurare la fame: una frequenza più o meno simile ai ritmi con cui caccia le foche. Inoltre, dal momento che in primavera gli orsi polari giungono sulle coste sempre prima, potrebbero arrivare sulla terraferma proprio nella stagione in cui i caribù partoriscono e le oche delle nevi depongono le loro uova. Cuccioli e uova sarebbero quindi pasti sostanziosi e soprattutto facili da ottenere, senza un grosso dispendio energetico. “Queste specie potrebbero diventare una componente cruciale della dieta degli orsi nella stagione estiva” ha specificato Rockwell, consentendo così la sopravvivenza della specie.

Finora gli studi precedenti, infatti, hanno dipinto una situazione catastrofica: dal 2068, gli orsi polari rimarranno bloccati sulla terraferma per circa 180 giorni l’anno, e la maggior parte dei maschi adulti (tra il 28% e il 48%) morirà di fame. Ma questi studi non tengono conto dell’assunzione di cibo sulla terraferma: un adattamento che potrebbe ridare speranza alla conservazione di questa specie. Se la nuova situazione funzionerà nel lungo periodo, però, dipende da diversi fattori, come il tasso di successo nella caccia, e se le oche e i caribù si adatteranno ai cambiamenti climatici e riusciranno a sopportare la pressione predatoria.

Riferimenti: Plos One Doi: 10.1371/journal.pone.0128520

Credits immagine: AMNH/R. ROCKWELL

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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