I numeri degli anfibi

Che rane, raganelle, rospi e salamandre si stiano estinguendo non è certo una novità. Ma le prove della progressiva tendenza all’estinzione degli anfibi, seppur numerose, sono state finora sporadiche e basate su studi focalizzati in aree geografiche limitate e a breve termine. Adesso, però, una ricerca dell’Università di Ottawa (http://www.uottawa.ca/welcome.html), passando meticolosamente in rassegna quanto pubblicato finora in materia, conferma le previsioni negative precedenti e traccia i confini di un fenomeno che, dalla seconda metà del secolo scorso, non accenna a invertire la direzione di marcia, con preoccupanti ripercussioni sull’ecosistema del pianeta.

Per ricavare un quadro generale delle variazioni di questa classe di vertebrati, e individuare le aree più colpite, i biologi canadesi hanno preso in considerazione i dati relativi a 936 popolazioni anfibie, raccolti dalla fine degli anni cinquanta fino al 1997. “Abbiamo fatto uno sforzo notevole per riuscire ad essere il più possibile esaustivi e crediamo di esserci riusciti”, commentano soddisfatti i ricercatori su Nature, “il nostro campione rappresenta la collezione più completa di dati sulle popolazioni anfibie dagli anni Cinquanta ad oggi”. E, a giudicare dai numeri, era veramente difficile fare di meglio: l’équipe ha infatti monitorato i dati forniti da più di 200 ricercatori di 37 paesi, per un totale di 157 specie analizzate. All’esame degli studiosi pubblicazioni, rapporti tecnici, e perfino dati non pubblicati forniti da esperti da tutto il mondo.

Dall’analisi delle informazioni raccolte, è stato infine tracciato il trend generale. Che purtroppo è risultato tutt’altro che positivo. In particolare i dati hanno evidenziato un declino relativamente rapido nel decennio che va dalla fine degli anni Cinquanta alle soglie dei Settanta. Da quella data in poi la situazioni è andata leggermente migliorando, ma la tendenza negativa si è mantenuta costante. “Non abbiamo registrato, invece, trend particolari negli anni Cinquanta”, spiega Jeff Houlahan, coordinatore della ricerca e autore dell’articolo pubblicato dal prestigioso settimanale inglese, “il periodo più nefasto è stato quello tra il 1960 e il 1966, con una perdita addirittura del 15 per cento. Poi è seguito un periodo di lieve miglioramento”.

Tempi e luoghi diversi, dunque, ma un destino comune per questa classe di animali dalla doppia vita, acquatica prima, terrestre poi. A quanto riferiscono gli esperti, le popolazioni anfibie avrebbero vissuto una fase particolarmente critica nell’Europa occidentale durante tutti gli anni Sessanta. Nel nord America, invece, il loro numero sarebbe diminuito soprattutto dagli anni Settanta in poi, durante un periodo difficile anche in altre regioni, come Australia e America Latina.

I biologi dell’Università canadese, infine, avanzano anche alcune ipotesi sulle ragioni del fenomeno, che, secondo loro, non può essere disgiunto dai cambiamenti ambientali subiti dal nostro pianeta negli ultimi anni. E indicano alcune possibile cause, come le piogge acide, alcune malattie, l’aumento delle radiazioni ultravioletti di tipo B, o una combinazione di tutti questi fattori.

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