Cosa c’è da sapere sui tre casi di ictus associati al vaccino di AstraZeneca

(Foto: National Cancer Institute on Unsplash)

In una lettera pubblicata sulle pagine del Journal of Neurology Neurosurgery & Psychiatry un team di ricercatori britannici descrive tre casi di ictus ischemico avvenuti successivamente alla somministrazione del vaccino AstraZeneca. Tre case report che andrebbero considerati come ulteriori possibili, sebbene alquanto rare, manifestazioni dei problemi di coagulazione associati alla somministrazione del vaccino. Gli autori infatti presentano i casi – tutti e tre osservati in persone giovani, di età compresa tra i 35 e i 43 anni – come “pazienti con trombocitopenia trombotica immunitaria indotta da vaccino [vaccine- induced immune thrombotic thrombocytopaenia, Vitt, nda] con ictus ischemico”. Si tratterebbe di casi “rari e molto meno comuni” di quelli di trombosi venose e ictus associati a Covid-19, e anche meno comuni delle già rare trombosi venose associate al vaccino. I rischi di trombosi, in sostanza, sarebbero comunque più alti se si contraesse Covid-19.

I problemi di coagulazione associati alla somministrazione del vaccino Vaxzevria di AstraZeneca sono stati al centro di indagini approfondite, sia a livello epidemiologico che clinico, una volta emerso il segnale sul possibile legame con l’iniezione. Problemi cui ci si riferisce in ambito medico come sindrome Vitt, caratterizzata appunto di trombi, soprattutto a livello dell’addome e del cervello, associati a trombocitopenia (carenza di piastrine). Un’altra delle caratteristiche della sindrome Vitt è la presenza di anticorpi diretti verso il fattore piastrinico Pf4 (e per questo detta immunitaria). I casi però descritti da David Werring dello Stroke Research Centre, Ucl Queen Square Institute of Neurology e colleghi presentavano anche appunto coaguli a livello delle arterie, una condizione di Vitt non ancora descritta a detta del team, in aggiunta a bassi livelli di piastrine, alti di D-dimero e anticorpi anti-Pf4.


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La sintomatologia osservata nei pazienti descritti da Werring e colleghi parla di disturbi quali mal di testa, sonnolenza, debolezza in alcune parti del corpo (per esempio solo da un lato), confusione, problemi alla vista, disfasia (difficoltà a parlare e capire il linguaggio), presentati da 6 a 21 giorni dopo aver ricevuto il vaccino. Due pazienti avevano trombosi a livello della vena porta o del sistema venoso cerebrale, tutti – ed è questa la novità che emerge dalla segnalazione – occlusioni a livello di arterie, come carotidi, arteria cerebrale media e in un caso embolia polmonare (ostruzioni a livello dell’arteria polmonare). Gli esiti dei pazienti, trattati con chirurgia, corticosteroidi, anticoagulanti e rimozioni e trasfusioni di plasma, sono stati diversi: c’è stato un decesso, una situazione viene riferita come stabile e una in miglioramento.

Al di là delle descrizioni dettagliati dei tre casi segnalati di trombosi arteriose, il messaggio di Werring e colleghi – ribadito anche da un articolo di commento che accompagna la lettera sullo stesso numero della rivista – è di considerare più ampie le possibili manifestazioni dei problemi di coagulazione associati alla somministrazione del vaccino, e di comprendere oltre alle trombosi venose anche casi di coaguli che possono interessare le arterie. Parliamo, ricorda contestualizzando il problema Hugh Markus della University of Cambridge, che firma il commento sul Journal of Neurology Neurosurgery & Psychiatry di casi “rari e moto meno comuni” di quelli di trombosi venose e ictus associati a Covid-19, e meno comuni delle rare trombosi venose associate al vaccino.

Ma lo stesso Markus riconosce come sia importante mantenere alta la soglia verso trombosi associate al vaccino. E gli esperti tracciano anche linee di indirizzo per possibili trattamenti. Così si chiude infatti la lettera di Werring e colleghi: “Giovani pazienti che si presentino on ictus ischemico dopo aver ricevuto il vaccino ChAdOx1 nCoV-19 [il prodotto di AstraZeneca, nda] dovrebbero essere urgentemente valutati per la sindrome Vitt con test di laboratorio (inclusi conta pitrinica, test del D-dimero, fibrinogeno, e anticorpi anti Pf4) e valutati per la co-presenza di trombosi venose; dovrebbero essere seguiti da un team multidisciplinare (ematologi, neurologi, esperti di ictus, neurochirurghi e neuroradiologia) per un accesso rapido a trattamenti inclusi immunoglobuline per via endovenosa, metilprednisolone, plasmaferesi e anticoagulanti diversi da eparina, come fondaparinux, argatroban, o anticoagulanti orali diretti. Terapia endovascolare o emicraniectomia decompressiva possono essere indicati in pazienti selezionati”.

Via: Wired.it

Credits immagine: National Cancer Institute on Unsplash