Il buco nero costretto all’esilio

Come un invitato non gradito. Cacciato fuori, a una velocità di milioni di chilometri orari dalla galassia che fino a poco tempo prima lo aveva ospitato. Succede anche ai buchi neri con massa enormemente superiore a quella del Sole, come ha osservato un gruppo di astronomi analizzando i dati del Chandra X-ray Observatory della Nasa. Un fenomeno che potrebbe essersi ripetuto, e che significherebbe un Universo abitato anche da buchi neri vagabondi. 

La scoperta degli scienziati – tra cui anche i ricercatori dell’Inaf e dell’Università di Bologna – è arrivata analizzando le osservazioni del sistema CID-42 posizionato in una galassia a circa 4 miliardi di anni luce di distanza dalla Terra. Dati acquisiti grazie a Hubble, i telescopi a terra Magellano e il Very Large Telescope combinati con quelli del Chandra X-ray Observatory. 

Le immagini ottiche, catturate dal telescopio spaziale prima, e poi da quelli a terra, sono quelle che hanno incuriosito gli scienziati. Infatti, analizzando con questi CID-42, gli astronomi hanno identificato due fonti luminose, in movimento l’una rispetto all’altra a una velocità di circa tre milioni di miglia orarie (più o meno cinque milioni di km/h). Dati che, combinati con precedenti osservazioni di una fonte a raggi X da parte di Chandra nella stessa zona– probabilmente dovuta a materiale surriscaldato circostante uno o due buchi neri – rendevano il quadro ancora più interessante. 

Per capire da dove venisse quella fonte di raggi X gli astronomi hanno indagato meglio, sfruttando la High Resolution Camera di Chandra. Hanno così scoperto che la fonte di raggi X coincide solo con una delle due sorgenti luminose (come mostrato nell’immagine, che combina quanto visto da Hubble e Chandra). Cosa potrebbe significare? Per gli scienziati l’ipotesi più probabile è che CID-42 sia il prodotto di una sorta di incidente spaziale. 

Qui infatti si troverebbe un buco nero formato in seguito allo scontro, e fusione, di due buchi neri (dopo la collisione di due galassie). Le onde gravitazionali prodotte dall’incidente avrebbero quindi spinto fuori, cacciandolo, il buco nero (la fonte di raggi X) lasciando dietro le BL’ da cui si allontanava (l’altra sorgente luminosa). 

“É difficile credere che un buco nero supermassivo con una massa milioni di volte quella del Sole possa essere spostato, tanto meno cacciato fuori da una galassia a una velocità così elevata” ha spiegato l’italiana Francesca Civano dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) commentando lo studio in via di pubblicazione su The Astrophysical Journal: “Ma questi nuovi dati supportano l’idea di onde gravitazionali – increspature nel tessuto dello spazio predette per la prima volta da Albert Einstein, ma mai rivelate direttamente – che possono esercitare una forza estremamente potente”. 

Non solo. Le ripercussioni della scoperta potrebbero essere ancora più grandi, perché i buchi neri non potrebbero trovarsi solo al centro delle galassie, ma essere sparati anche in giro per l’Universo, come ha spiegato Laura Blecha del CfA, uno degli autori: “Questi buchi neri potrebbero essere invisibili perché hanno ormai consumato tutto il gas circostante dopo essere stati cacciati dalla galassia che li ospitava”. Così, accanto al titolo di mangiatori di stelle, i buchi neri si conquistano anche quello di vagabondi.

via wired.it

Credit immagine: X-ray: NASA/CXC/SAO/F.Civano et al; Optical: NASA/STScI; Optical (wide field): CFHT, NASA/STScI

1 commento

  1. L’esistenza di buchi neri “vaganti” non e’ certo una scoperta ne’ e’ una scoperta la attribuzione di questo fenomeno ad eventi catastofici, sebbene rari, di scontro tra galassie. La rarita’ di tale eventi comporta che nella teoria della evoluzione dei buchi neri essi “pesino” relativamente poco rispetto ai buchi neri al centro delle galassie (cfr., tra i tanti, A. Merloni & S. Heinz, A synthesis model for AGN evolution, Mon. Not. R. Astr., 2008), ma cio’ non significa che non fossero gia’ noti, almeno da una decina di anni. La articolista di Galileo presenta invece la cosa come una scoperta di rilevanza generale, al di la’ della indubbia importanza particolare della osservazione di CID-42.
    Inoltre questa “non scoperta” viene portata a supporto dell’esistenza delle ode gravitazionali, che da 100 anni ormai vengono spasmodicamente cercate e non vengono trovate. Una ragione per sospettare che Bohm, non Einstein ne’ Bohr, avesse ragione a proposito delle azioni a distanza. E con lui Newton. Ma la scienza e’ ormai talmente supportata dalla ideologia riduzionista, cara alla filosofia politica ed economica americana, che – oserei dire spudoratamente – si cerca ogni pretesto per accreditare tesi non supportate da alcun dato sperimentale: come quella che un wandering black hole sia vagante a causa delle onde gravitazionali.
    L’articolista avrebbe fatto meglio a intervistare – oltre la insigne astronoma italiana che lavora per uno dei tanti santuari della ideologia riduzionista, che influenza la scienza – qualche fisico teorico (ce ne sono anche in Italia, magari in pensione o magari indiani) che le avrebbe potuto spiegare come le onde gravitazionali non solo non sono mai state osservate direttamente ma sono in contrasto con un approccio corretto alla fisica quantistica che includa il modello standard della elettrodinamica quantistica: quello di Bohm.
    Il problema di questi master di comunicazione scientifica, che vengono impartiti in istituzioni economiche o ai margini di centri scientifici internazionali, e’ che sono sostanzialmente propaganda ideologica: vengono arruolate persone poco attrezzate o marginalmente attrezzate scientifciamente e diplomate come comunicatori. Poiche’ non sanno di cosa parlano, sono ottimi megafoni di quanti, scienziati o istituzioni, esercitano una censura preventiva sulla vera comunicazione scientifica: quella sulle riviste scientifiche specializzate, la cui validita’ scientifica e’ pero’ spesso quella dei loro editori (recentemente, nella vicenda della velocita’ dei neutrini, la comunicazione scientifica l’ha fatta la FOX di Murdoch). Laddove la censura preventiva si manifesta nella pretesa consistenza degli articoli pubblicati con paradigmi preconcetti e ideologici, che non hanno validita’ scientifica.

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