Il Giappone perde, anzi no

Il Giappone raddoppierà la caccia alle balene nelle acque antartiche. Contravvenendo così alle risoluzioni di maggioranza della 57° conferenza della Commissione Baleniera Internazionale (Iwc), riunita dal 20 al 24 giugno scorsi a Uslan, in Corea del Sud. I delegati dei vari governi hanno infatti bocciato, con 29 voti contrari, 23 a favore e 5 astenuti, la proposta nipponica di rafforzare il programma di “caccia scientifica” attraverso l’aumento delle quote e l’avvio di una nuova “ricerca” nelle acque dell’Antartide, accogliendo così l’appello degli ambientalisti. Ma i voti non sono bastati: a dicembre potrebbero finire sotto gli arpioni giapponesi circa un migliaio di balene, tra cui la rara balenottera comune. Una presa di posizione unilaterale che rivela la debolezza dell’Iwc: il mancato rispetto delle risoluzioni, infatti, non implica alcuna multa ma solo il disappunto della comunità internazionale.Dall’entrata in vigore della moratoria sulla caccia commerciale nel 1986 a oggi, più di 24 mila balene sono state uccise, 7 mila delle quali per scopi scientifici. La parte del leone la fa proprio il Giappone, le cui flotte uccidono ogni anno 650 balene ufficialmente “per capire le loro abitudini alimentari e determinarne il sesso e le condizioni riproduttive”. Motivazioni che hanno poco di scientifico, secondo il rapporto “Science, profit and politics: Scientific Whaling in the 21th century”, presentato dal Wwf in occasione del meeting: le tecniche dei balenieri giapponesi, infatti, non forniscono indicazioni sulla dieta dei cetacei, perché permettono di vedere solo le prede consumate di recente. Al contrario, l’analisi dei campioni cutanei darebbe informazioni più attendibili mentre l’analisi bioptica permetterebbe di capire il sesso o lo stato di gravidanza dei mammiferi senza ricorrere ai metodi letali. Altrettanto priva di fondamento, dice il Wwf, è la giustificazione alla caccia addotta dai giapponesi, secondo la quale le balene sono responsabili dell’impoverimento degli stock ittici. In realtà, la caccia scientifica aggira i divieti esistenti e va a rimpolpare il già lucroso commercio della carne e dei derivati di questi mammiferi, destinato a soddisfare il palato dei giapponesi più facoltosi.La condanna delle associazioni ambientaliste e le pressioni di molti paesi in Commissione per l’istituzione di nuovi santuari dei cetacei nell’Oceano Pacifico e nel sud-est dell’Atlantico, non hanno fatto desistere il Giappone dal suo intento. All’apertura dei lavori, i delegati giapponesi hanno proposto una revisione dello “schema di gestione”, cioè delle norme che regolano la caccia alle balene, chiedendo la messa al bando della moratoria sulla caccia commerciale, la possibilità di cacciare quote più consistenti di cetacei anche all’interno dei santuari dell’Oceano Indiano e del Pacifico Meridionale e di avviare la seconda fase del programma di ricerca “Jarpa 2”. L’appoggio di paesi come la Norvegia, l’Islanda, alcune nazioni africane e caraibiche, non è bastato al Giappone per spuntarla. Secondo i 63 esperti dell’Iwc, infatti, “il nuovo programma di caccia nei mari antartici non ha basi scientifiche”. Anche la mozione dell’Australia, che ha chiesto al governo di Tokyo di abolire l’uso di metodi di ricerca letali, ha raccolto 30 voti favorevoli contro i 27 contrari. Ma le risoluzioni votate dalla maggioranza dei delegati sono rimaste inascoltate. Il Giappone ha annunciato che procederà ugualmente con la caccia ‘scientifica’ in Antartide, che provocherà la morte di 1000 balene, tra cui le balenottere minori e due specie minacciate come la balenottera comune e la megattera. E ha promesso battaglia durante la prossima riunione della Commissione, dove spera di trovare l’appoggio di un maggior numero di paesi. Le associazioni ambientaliste hanno chiesto all’Iwc dei passi concreti per la protezione delle balene, come rafforzare la Commissione scientifica interna, controllare che le norme siano rispettate e dotarsi di strumenti per rispondere a ciò che minaccia i cetacei, dalle catture accidentali nelle reti da pesca all’inquinamento fino agli effetti dei cambiamenti climatici.

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