Il Nobel per la fisica alle scoperte sul Big Bang e agli esopianeti

Nobel per la fisica

Uno che non dovrebbe esistere. Un altro che è una super-Terra. Uno che contiene acqua. Se da diverso tempo qui su Wired non facciamo altro che proporvi notizie a tema esopianeti, lasciateci dire che forse ci avevamo visto giusto: l’Accademia reale svedese delle scienze ha infatti appena assegnato il premio Nobel per la fisica del 2019 a James PeeblesMichel Mayor Didier Queloz proprio per le loro ricerche nel campo dell’astrofisica, e in particolare per le “scoperte teoriche in fisica cosmologica” (a Peebles) e per la “scoperta di un esopianeta in orbita attorno a una stella di tipo solare” (a Mayor e Queloz). Bando alle ciance (e alla nostra vanagloria) e vediamo di capirci qualcosa in più.

Occhio allo Spazio

È un Nobel che premia le incredibili ambizioni e curiosità dell’essere umano, questo. Quelle ambizioni e curiosità che da millenni ci spingono a guardare il cielo sopra di noi, prima a occhio nudo e poi con strumenti sempre più raffinati e potenti, per cercare di capire da dove veniamo, come si è formata tutta la materia che ci circonda e dove potremmo trovare altre forme di vita. Ed eventualmente dove potremmo cercare di rifugiarci se saremmo tanto scellerati da rendere inabitabile questa nostra bella Terra. “Il premio Nobel per la fisica del 2019”, spiegano dall’Accademia reale svedese delle scienze, “è un riconoscimento per i risultati che abbiamo ottenuto nella comprensione della struttura e della storia dell’Universo, e per la scoperta di un pianeta esterno al Sistema solare che orbita attorno a una stella simile al Sole. I premiati di quest’anno hanno contribuito, con i loro studi, a rispondere a questioni fondamentali sulla nostra esistenza. Cosa è successo nei primi momenti di vita dell’Universo, e cosa è successo subito dopo? Ci possono essere altri pianeti che orbitano attorno ad altri Soli?”.

James Peebles e la radiazione cosmica di fondo

I lavori di James Peebles, avviati a metà degli anni sessanta, hanno segnato profondamente il settore della cosmologia, ponendo le basi teoriche per la comprensione dei meccanismi fondamentali che hanno portato alla formazione dell’Universo così come lo conosciamo oggi. Il suo primo libro, Physical Cosmology, pubblicato nel 1971, ha ispirato un’intera generazione di fisici a dedicarsi allo stesso tema, non soltanto dal punto di vista teorico, ma arricchendolo anche con misure ed esperimenti.

In particolare, Peebles si è dedicato allo studio della cosiddetta radiazione cosmica di fondo, l’insieme di onde elettromagnetiche (della lunghezza d’onda di una manciata di millimetri) che rappresentano l’impronta indelebile del Big Bang, l’immensa esplosione cosmica da cui tutto ebbe inizio, avvenuta circa 14 miliardi di anni fa. I lavori di Peebles sul tema sono stati fondamentali: lo scienziato ha elaborato un modello che permette di spiegare il drastico calo della temperatura della radiazione cosmica di fondo (attualmente molto vicina allo zero assoluto) e di estrarre informazioni su quanta materia e luce sono stati creati durante il Big Bang.

Informazioni che, a loro volta, si sono rivelate cruciali per comprendere come la materia si sia poi addensata per formare le galassie e gli ammassi di galassie che vediamo oggi nello Spazio.

A caccia di esopianeti

Bene. L’Universo si è formato con il Big Bang. E i lavori di Peebles ci hanno aiutato a capire come sia successo. Ma ci sono tante cose che ancora non conosciamo: al momento, tanto per citarne la più eclatante, abbiamo caratterizzato più o meno solo il 5% di tutta la materia e l’energia dell’Universo. Un 5% comunque fondamentale, dato che ha portato alla formazione di tutto ciò che ci circonda. Galassie, stelle, buchi neri, pianeti. Ma anche – e soprattutto, almeno dal nostro punto di vista – della vita. E qui arriviamo a un’altra domanda fondamentale, che purtroppo non ha ancora risposta: siamo soli nell’Universo? E se non lo siamo, come ebbe a chiedersi Enrico Fermi, dove sono tutti gli altri? Non lo sappiamo, ma per lo meno abbiamo qualche idea di dove cercare: il nostro Sole non è certamente l’unica stella dell’Universo attorno alla quale orbitano dei pianeti.

Al momento gli astronomi hanno censito circa 4mila esopianeti, ossia pianeti esterni al nostro Sistema solare: alcuni enormi, altri minuscoli, altri soli e lontanissimi; quasi nessuno abbastanza simile al nostro al punto da farci sperare che potesse essere la dimora di altre forme di vita.

È proprio in questo scenario di caccia matta e disperatissima che s’incuneano i lavori di Michel Mayor Didier Queloz, che il 6 ottobre 1955 annunciarono (intervenendo in un convegno scientifico che si stava tenendo a Firenze, tra l’altro) la scoperta di un esopianeta orbitante attorno a una stella molto simile al nostro Sole. Il primo del suo genere, distante 50 anni luce dalla Terra. Fu battezzato 51 Pegasi b, dal momento che la sua stella si chiama 51 Pegasi. Un anno su 51 Pegasi b dura appeno quattro giorni terrestri: si trova infatti a soli otto milioni di chilometri dalla stella (ecco perché impiega così poco tempo a completare un giro completo: si pensi che la Terra dista 150 milioni di chilometri dal Sole), e ha una temperatura superficiale di circa mille gradi centigradi. È anche piuttosto grande: le sue dimensioni sono più o meno comparabile a quelle di Giove, il gigante gassoso del Sistema solare, oltre mille volte più esteso della Terra.

La scoperta di Mayor e Queloz, così come i lavori di Peebles – d’altronde i premi Nobel non si assegnano a caso –, ha rappresentato una grande rivoluzione nell’astronomia e in particolare nel campo della ricerca degli esopianeti. Da allora, le osservazioni terrestri e quelle effettuate dai telescopi in orbita hanno permesso di scoprire migliaia di nuovi mondi, differenti per forma, dimensione, orbita, tipo di stella madre, ampliando significativamente la nostra conoscenza in materia di formazione planetaria. E aiutandoci a capire dove cercare altre forme di vita. O eventuali nuove dimore per l’umanità, come accadeva in Interstellar. “Queste scoperte”, dicono da Stoccolma, “hanno cambiato per sempre la nostra concezione del mondo”. Facciamone tesoro.

via Wired.it

Leggi anche: Vent’anni fa la scoperta del primo esopianeta

1 commento

  1. Mi meraviglia il fatto che il Big Bang venga ancora descritto come “un’esplosione”. Falso e fuorviante per i neofiti.

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