Il protocollo è ancora vivo

“Nonostante tutto, il protocollo di Kyoto è ancora vivo”. La nota di ottimismo arriva da Riccardo Valentini, professore di ecologia forestale all’Università della Tuscia e tra i membri italiani dell’International Panel on Climate Chiange (Ipcc). Valentini è impegnato in questi giorni nei lavori di Cop9, la nona conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici in corso a Milano, insieme a gli oltre seimila delegati provenienti dalle 189 nazioni che hanno sottoscritto l’accordo, a cui si aggiungono i rappresentanti di 100 organizzazioni internazionali governative e non governative. Lo scopo dell’incontro, che si concluderà il 12 dicembre, è fare il punto sull’attuazione del protocollo e definirne i punti ancora rimasti in sospeso. Che sono soprattutto due, spiega Valentini. Il primo è il budget: l’accordo internazionale prevede che i paesi industrializzati donino 400 milioni di euro ai paesi in via di sviluppo, come sostegno per le misure di riduzione delle emissioni e per lo sviluppo di tecnologie ecologiche. Ma la situazione economica europea (il Vecchio continente è uno dei principali donatori) non aiuta a mantenere questi impegni. Il secondo punto in discussione è invece tecnico, e riguarda le foreste. “Dovremo accordarci su quale ruolo possono avere i progetti di riforestazione nei paesi in via di sviluppo nell’attuazione del protocollo”. Infatti, gli accordi di Kyoto non si limitano a imporre riduzioni alle emissioni dai gas serra, ma permettono a diverse nazioni di acquisire “crediti” sulle emissioni anche investendo in tecnologie pulite o in progetti di riforestazione. Questo perché le foreste funzionano come depositi di carbonio, che una volta assorbito dagli alberi non entra in circolazione nell’atmosfera. “Naturalmente non c’è alcuna garanzia a lungo termine che quel carbonio sia sottratto all’atmosfera, perché nel momento in cui quel legname venisse bruciato verrebbe emesso sotto forma di anidride carbonica”, ammette Valentini. E infatti diverse organizzazione non governative hanno contestato questa parte degli accordi, che rischia di far perdere ogni efficacia alle riduzioni previste sulle emissioni, già limitate. “Ma lo scopo è quello di mettere a disposizione dei paesi in via di sviluppo un sistema a basso costo e sostenibile per aderire ai criteri fissati dal protocollo, e acquisire dei crediti temporanei che poi dovranno essere sostituiti da crediti permanenti”. Insomma, si tratta di dare un po’ di tempo in più a queste nazioni per raccogliere le risorse da investire in tecnologie innovative: ridurre le emissioni industriali significherebbe per molti di loro strangolare economie già molto deboli. Qualche nube sull’incontro di Milano è arrivata con l’annuncio di un passo indietro della Russia, fatto da un consigliere economico di Putin, Andrei Illarionov. Martedì il politico ha dichiarato che la Russia non era intenzionata a ratificare il protocollo di Kyoto nella sua forma attuale, poiché pone limitazioni significative alla sua crescita. Ma presto dal Cremlino è arrivata una smentita, e lo stesso Valentini è incline a considerare l’uscita di Illarionov una mossa legata a giochi di politica interna russa. “Ci aspettiamo di ripartire da Milano con un accordo definitivo sulla attuazione del protocollo”, dice lo studioso italiano. “L’impegno europeo rimane molto forte, e anche con i paesi che non aderiscono a Kyoto, come gli Stati Uniti, ci sono importanti accordi bilaterali per lo sviluppo di tecnologie pulite”. Nel frattempo però i dati non sono confortanti. Le emissioni di gas serra continuano ad aumentare, e le ultime proiezioni prevedono che nel 2010 saranno salite del 17 per cento rispetto al 1990: gli accordi di Kyoto prevedono invece una riduzione del 5 per cento. E ormai il consenso scientifico sugli effetti dell’attività umana sul clima è pressoché unanime: sull’ultimo numero di Science è apparso un articolo a firma dei climatologi Thomas Karl e Kevin Trenberth, che hanno effettuato una revisione critica degli studi sul cambiamento climatico pubblicati negli ultimi decenni. Se le emissioni continueranno ad aumentare con il ritmo attuale, Karl and Trenberth prevedono un innalzamento della temperatura globale tra 1,7 °C e 4,9°C entro il 2100. Se anche le emissioni venissero ridotte in modo significativo, la temperatura media del globo salirebbe comunque di mezzo grado circa, perché gli effetti dei gas serra proseguirebbero per diversi decenni. Se così fosse, gli accordi di Kyoto rischiano di essere solo una goccia nel mare.

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