Un impianto sottopelle per proteggersi dall’Hiv

hiv cina
(Foto via Pixabay)

Proteggersi dall’hiv come si fa dalle gravidanze indesiderate. Durante la decima conferenza dell’International Aids Society, tenutasi in questi giorni a Città del Messico, sono stati presentati i risultati della prima sperimentazione clinica di un impianto sottocutaneo che, rilasciando piccole dosi di un nuovo potente farmaco antiretrovirale (islatravir, targato Merck), potrebbe proteggere dalle infezioni da hiv per un intero anno. I test sull’essere umano sono ancora in fase molto preliminare (è presto per esaltarsi, insomma), ma gli esperti sono fiduciosi di poter nel prossimo futuro rivoluzionare le strategie di prevenzione contro questo ancora temibile virus.

Un fiammifero farmacologico

Il dispositivo è grande quanto un fiammifero e prende ispirazione dagli impianti già utilizzati per il controllo delle nascite. Funziona infatti allo stesso modo: il bastoncino di materiale plastico biocompatibile viene caricato con un farmaco (in questo caso un potente antiretrovirale, islatravir) che viene rilasciato gradualmente nell’organismo, offrendo una protezione duratura.

Questo sistema, sostengono gli esperti, potrebbe in futuro riscrivere le prassi per la prevenzione delle infezioni da hiv, portando considerevoli vantaggi sia nei Paesi ad alto che a basso reddito.

Uno dei grossi problemi della prevenzione dell’Aids nei Paesi sviluppati è che spesso i soggetti a rischio non possiedono gli strumenti o non sono in grado di seguire la terapia farmacologica quotidiana (come la Prep). Negli stati africani, oltre a questo, si sovrappongono questioni culturali. Le donne sono le principali vittime dell’Aids (i dati di Unaids parlano di 6mila ragazze sotto i 24 anni che ogni settimana vengono contagiate): stuprate o costrette ad avere rapporti sessuali in cambio di risorse, spesso non riescono ad assumere le pillole per la terapia preventiva nemmeno in casa per paura di essere accusate dagli stessi parenti o da altri membri della comunità di essere malate, il che avrebbe pesanti ripercussioni.

L’impianto sottocutaneo avrebbe i vantaggi di essere efficace a lungo (non ci si deve ricordare tutti i giorni di assumere la terapia o di rinnovare il piano terapeutico periodicamente) e di essere discreto, praticamente invisibile.

Islatravir

Il principio attivo caricato nel fiammifero e che conferisce protezione da hiv è islatravir, un farmaco di nuova generazione che fa parte della famiglia degli inibitori della trascrittasi inversa, cioè funziona bloccando l’enzima che clona il genoma virale permettendogli di infettare altre cellule. Secondo l’azienda Merck che lo ha sviluppato è dieci volte più potente di qualsiasi altro farmaco contro hiv oggi sul mercato, per cui ne bastano piccole dosi per garantirne l’efficacia – caratteristica che riduce il rischio di effetti collaterali. Inoltre la sua forma attiva rimane nell’organismo per un tempo relativamente lungo (dopo cinque giorni rimane ancora disponibile metà della dose iniziale), e pertanto può essere somministrato meno spesso. Un altro punto a favore di islatravir – e che lo rende particolarmente adatto per la prevenzione con modalità di somministrazione sottocutanea – è il suo assorbimento precoce da parte dei tessuti anali e genitali, cioè proprio dove la maggior parte delle infezioni da hiv ha inizio.

I primi test

Il dispositivo è stato per il momento sperimentato su 12 persone per 12 settimane. L’obiettivo in questa fase non era verificare l’efficacia nel prevenire le infezioni da hiv (cosa comunque già dimostrata nei test su ratti e scimmie), ma constatarne la sicurezza nell’essere umano, ossia se l’impianto fosse ben tollerato e se la nuova modalità di somministrazione del farmaco non provocasse effetti collaterali pericolosi. I primi test hanno dato esito positivo, dimostrando la sicurezza del sistema.

La strada è ancora lunga

Molti vantaggi e primi successi, dunque. Ma c’è ancora tanto da lavorare. Innanzitutto dovranno essere fatte ulteriori verifiche per capire se la stima fatta dai ricercatori sulla durata dell’efficacia (1 anno) dell’impianto sia corretta (lo hanno calcolato facendo riferimento alla capienza del dispositivo e sulla potenza del nuovo farmaco), poi bisognerà disegnare un trial molto ampio, che rispetti i principi etici in gioco. Come sottolineato dall’associazione Avac, non si potrà impiantare il dispositivo nei soggetti a rischio senza munirli degli strumenti e delle conoscenze per proteggersi in ogni caso dall’infezione. Quindi un’eventuale studio su larga scala impiegherà molto tempo e molte risorse prima di arrivare a una conclusione.

Via: Wired.it

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