In aumento il cancro infantile a Fukushima

Sono passati tre anni dall’incidente nucleare di Fukushima. Eppure ci sono ancora molte cose che non tornano. Alcune sono bufale deliberate, come vi abbiamo raccontato. Altre sono dovute a inesattezze o cattiva interpretazione dei dati. Su altre ancora, invece, il dibattito è ancora aperto. Il cancro alla tiroide in bambini e adolescenti che vivono nella zona, per esempio. Le autorità sanitarie giapponesi, infatti, racconta il Guardian, hanno riportato un aumento significativo dell’incidenza della patologia, ma non è chiaro se questi risultati siano conseguenza delle radiazioni o siano dovuti allo screeningestensivo in atto sulla popolazione da tre anni a questa parte, di portata maggiore e molto più minuzioso rispetto ai monitoraggi precedenti. Gli esperti, in altre parole, si chiedono se sia colpa dell’irradiamento o se, semplicemente, stiamo cercando troppo bene i sintomi della malattia. 

Partiamo, anzitutto, dai numeri. Il mese scorso il numero di sospetti tumori alla tiroide su soggetti che all’epoca dell’incidente avevano meno di diciotto anni è salito a 75 (nel settembre scorso erano stati 59). Di questi casi, 33 si sono rivelati positivi, ovvero effettivamente colpiti dalla patologia. Sono 254mila (su un totale di 375mila) i bambini e gli adolescenti sotto osservazione degli esperti della Fukushima Medical University, in collaborazione con gli ospedali locali. Un monitoraggio costante che – spiegano – andrà avanti per il resto della loro vita. Dal canto loro, le autorità nipponiche respingono ogni collegamento con l’incidente, ammettendo però che i risultati richiedono un’analisi più approfondita: “Speriamo di trovare tipi sconosciuti di mutazioni genetiche”, dice Shinichi Suzuki, esperto di chirurgia tiroidea, “diversi rispetto a quelli notoriamente associati all’insorgenza di tumore della tiroide, per capire se possano servire da marcatori che ci aiutino a determinare se la malattia è stata indotta dalla radiazione”.

Di per loro, le cifre non sono così rassicuranti. Normalmente il cancro alla tiroide coinvolge 1-2 persone per milione nella fascia d’età 10-14 anni, tasso molto minore rispetto a quello osservato a Fukushima (33 su 375mila fa 88 su un milione, anche se lo screening di Fukushima è stato eseguito su una fascia d’età leggermente più ampia). E sono arrivati, naturalmente, i paragoni con Chernobyl: secondo le stime del Comitato delle Nazioni Unite sugli Effetti della Radiazione Atomica, nel 2005 ci sono stati oltre 6mila casi di cancro alla tiroide tra bambini e adolescenti in Ucraina, Russia e Bielorussia. È da ricordare, però, che in quella zona non è stata attuata alcuna misura per impedire l’assunzione di latte e verdure fresche – e conseguentemente è stata maggiore l’esposizione al radionuclide iodio-131, causa riconosciuta di cancro alla tiroide.

“A Fukushima è stata rilasciata molta meno radioattività rispetto a Chernobyl”, spiega al Guardian Dillwyn William, professore emerito di patologia alla Cambridge University. “La maggior parte della radiazione è finita sopra l’Oceano Pacifico. Secondo me è molto improbabile che ci sarà un grande aumento di casi di cancro alla tiroide e altri problemi di salute – a parte, naturalmente, ansia e difficoltà psicologiche. Questo non vuol dire che la sorveglianza deve arrestarsi. Ci sono state sorprese dopo Chernobyl e ce ne potrebbero essere altre dopo Fukushima”.

È ancora più drastico Gerry Thomas, docente di patologia molecolare all’Imperial College di Londra: “L’ansia tra i cittadini è dovuta solo alle dichiarazioni di pseudo-scienziati che gridano più forte dei loro colleghi reali. Il numero crescente di casi è dovuto solo alla vasta portata dello screening, non alle radiazioni. Sono ancora convinto di ciò che ho sempre sostenuto: non ci sarà neanche una morte dovuta alle conseguenze radioattive di questo incidente”.

C’è comunque qualcosa che non torna. Le autorità giapponesi, qualche tempo dopo l’incidente, hanno deliberatamente aumentato il limite legale minimo di radiazioni da uno a venti millisievert (mSv): “Una decisione inspiegabile”, commenta Paul Dorman, dello Energy Institute alla University College di Londra. “20 mSv è una dose accettabile per un adulto. I bambini e gli adolescenti si trovano nella fase di sviluppo, quindi non dovrebbero essere esposti a tante radiazioni. Questo potrebbe comportare una maggiore incidenza di malattie, in futuro. Non parlo solo di tumori o problemi cardiaci, ma anche di patologie più difficili da rivelare con metodi epidemiologici, come disturbi del sistema immunitario”.

In ogni caso, per fugare i dubbi, le autorità giapponesi potrebbero fare qualcosa. Eseguire uno screening comparativo (cioè su un campione analogo e con gli stessi metodi) in una zona della nazione lontana da Fukushima. Una misura che ancora non è stata intrapresa: “Basterebbero sei mesi, ma le autorità sembrano ignorare la questione”, racconta al Guardian Koichiro Ono, maestro di scuola materna a Fukushima. “Il governo teme che un eventuale collegamento con l’incidente mandi a monte il progetto di far ripartire i reattori”.

Credits immagine: Abode of Chaos/Flickr

Via: Wired.it

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