Negli anni 90, fu l’inchiesta di Erin Brockovich sugli impianti della Pacific Gas and Electric, in California, a denunciare per la prima volta la contaminazione da cromo esavalente (Cr(VI)) nell’acqua potabile e l’aumento dell’insorgenza di tumori e leucemie nella popolazione locale. Oggi, utilizzando la tecnica della spettrometria di massa a rapporto isotopico, un gruppo di ricercatori della University of Illinois ha messo a punto un metodo per misurare la velocità di degradazione naturale del cromo esavalente in cromo trivalente (Cr(III)), una forma molto meno tossica del metallo. Secondo il geologo Thomas Johnson e colleghi, autori dello studio pubblicato questa settimana su Science, il nuovo sistema potrebbe permettere di stabilire, sito per sito, se i processi di attenuazione naturali sono sufficienti al recupero della falda o se sono necessari interventi attivi – e molto costosi – di bonifica (pompaggio e trattamento delle acque, costruzione di barriere reattive permeabili, iniezione nella falda di sostanze che favoriscono la degradazione naturale del Cr(VI)). “Vogliamo fornire”, ha detto Johnson “una tecnologia in grado di dire se il processo di riduzione naturale è in corso, e, in caso affermativo, in quale misura.” Il cromo, comunemente impiegato nella placcatura dei metalli e nella concia delle pelli, è uno dei contaminanti inorganici più diffusi nei paesi industrializzati. (f.n.)