Gli Inca erano abilissimi neurochirurghi

(Foto: University of Miami)

La trapanazione del cranio è un tipo di intervento chirurgico che consiste nel praticare un foro nel cranio mediante un trapano. Questa operazione veniva eseguita frequentemente già nell’antichità (secondo alcuni si tratta infatti del più antico esempio di chirurgia, se ne ritrovano indizi a partire dal Neolitico), senza anestesia né sterilizzazione, come trattamento per diversi disturbi, tra cui crisi epilettiche ed emicranie, oltre che nel caso di ferite alla testa.

Diffusa in tutte le parti del mondo, questa tecnica sembra tuttavia essere stata particolarmente praticata dalle popolazioni pre-colombiane, come quella degli Inca, dell’America latina. Infatti, il Perù detiene il record del maggior numero di reperti di crani trapanati riportati alla luce, con alcuni singoli crani che sembrano essere sopravvissuti al trattamento diverse volte (un cranio presentava segni di 7 diversi interventi). E, secondo i ricercatori, i tassi di sopravvivenza di questi interventi, considerate le condizioni in cui venivano eseguiti, sono davvero straordinari.

In uno studio, pubblicato su World Neurosurgery, un gruppo di scienziati della Tulane University di New Orleans ha esaminato l’evoluzione di questa pratica in Perù per oltre 2000 anni, a partire dal 400 a. C. fino alla metà del 1500, per osservarne i cambiamenti nel tempo e per evidenziare le differenze su come lo stesso tipo di intervento veniva praticato da altre popolazioni, come ad esempio nell’Europa medievale o durante la Guerra Civile Americana. Durante la ricerca, il team ha analizzato oltre 800 crani trapanati, e ha raccolto importanti dati riguardo la demografia, la tecnica e i tassi di sopravvivenza di questo tipo di intervento (se, per esempio, l’osso attorno al buco è frastagliato e non liscio, si può infatti ipotizzare che il paziente sia morto durante l’intervento o poco dopo). Questi risultati sono stati poi confrontati con i dati a disposizione su questa procedura durante il medioevo e durante il 19esimo secolo, fino alla Guerra Civile.

Dai risultati, è emerso che il tasso di sopravvivenza per la procedura in Perù era di circa il 40% dal 400 al 200 a.C., del 91% nei campioni datati tra il 1000 e il 1400 d.C. e variabile tra il 75 e l’83% durante il periodo dell’impero Inca, tra il 1400 e il 1500. In confronto, il tasso di sopravvivenza per lo stesso intervento durante la Guerra Civile Americana era compreso tra il 44 e il 54%, e quindi nettamente inferiore. Inoltre, la tecnica dei chirurgi Inca sembrava anche migliorare nel tempo, con buchi più piccoli e incisioni più precise, che riducevano quindi il rischio di sviluppare un’infezione.

Riferimenti: World Neurosurgery

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