Indizi di coscienza

È cosciente o no? Difficile dare una risposta a questa domanda, per la paziente oggetto dello studio pubblicato su Science di questa settimana. In cui Adrian Owen e colleghi dell’Università di Cambridge hanno studiato con la risonanza magnetica funzionale (una tecnica che permette di misurare l’attività di diverse aree cerebrali attraverso la misura indiretta dell’afflusso di sangue) di una paziente in stato vegetativo. Dimostrando che la sua attività cerebrale è in molti sensi paragonabile a quella di una persona sana e cosciente (nell’articolo parlano di “una ricca vita mentale”).

La paziente è una giovane donna di 23 anni, rimasta vittima di un incidente stradale che l’ha lasciata in quello che i medici hanno diagnosticato come stato vegetativo. Nonostante la ricomparsa, a un certo punto, di un normale ritmo sonno-veglia, non è infatti in grado di rispondere in alcun modo a stimoli esterni e non mostra alcun segno di attività volontaria.

Nessun segno apparente, perlomeno. In una serie di esperimenti, i ricercatori di Cambridge hanno fatto ascoltare alla paziente frasi come “Nel suo caffè c’erano latte e zucchero”, e hanno registrato una attivazione speficica nei giri temporali mediano e superiore della corteccia, analoga a quella osservata in volontari sani all’ascolto delle stesse frasi. Non solo, ma anche frasi che contenevano parole ambigue producevano un’attività, questa volta nella regione frontale anteriore sinistra, simile a quella dei soggetti sani. Indice, spiegano i ricercatori, che la capacità di processare il linguaggio è intatta.

Che una certa comprensione del linguaggio possa rimanere anche in assenza di coscienza non è, però, una novità. In fondo può capitare anche durante il sonno. Diversa è la questione se si chiede al soggetto di eseguire volontariamente compiti mentali, considerati tipici dello stato di coscienza. I ricercatori hanno così chiesto alla paziente di immaginare di giocare una partita di tennis, e di immaginare di percorrere tutte le stanze della propria casa secondo un preciso intinerario. Ancora una volta, l’attività dell’area motoria nel primo caso, e della corteccia laterale premotoria, del giro paraippocampale e della corteccia parietale posteriore nel secondo, era “indistinguibile” da quella dei volontari sani mentre eseguivano lo stesso compito. Conclusione degli autori: la paziente, nonostante lo stato vegetativo, è cosciente di sé stessa e dell’ambiente che la circonda, un dato che mal si accorda con le attuali teorie mediche e psicologiche sulla coscienza.

In un articolo di commento affidato a Lionel Naccache del Cognitive Imaging Unit dell’Inserm di Orsay, in Francia,, la stessa rivista Science mette in guardia dalle facili generalizzazioni che questo studio potrebbe suscitare, ricollegandosi a casi di cronaca come quello di Terri Schiavo. Vi sono infatti molti tipi diversi di stato vegetativo e di coma, difficilmente due pazienti possono essere paragonati, e questo studio riguarda una sola paziente. Tantomento, secondo Naccache, questo studio può bastare a rivedere le definizioni cliniche di coscienza attualmente utilizzate. Quello sulla coscienza è un dibatitto filosofico potenzialmente infinito, ma l’unico modo per venirne a capo in sede medica, scrive Naccache, è usare un approccio pratico: è coscience chi è in grado di riferire autonomamente i propri stati mentali (“sto leggendo la parola ‘coscienza’ su questa pagina”), e se è una macchina a riferire quegli stati mentali non vale. D’altronde, se quella paziente è davvero ‘cosciente’, perché non è in grado di rispondere fisicamente agli stimoli, visto che non ha alcun danno neurologico che le impedisca il movimento volontario?

I risultati comunque non sorprendono troppo Roberto Piperno direttore della Casa dei Risvegli Luca De Nigris e dell’U.O. ospedale Maggiore Bologna, responsabile scientifico del Centro Studi per la Ricerca sul Coma. “E’ a partire dalla fine degli anni ’90, che un numero crescente di rapporti hanno mostrato, anche se ancora in maniera solo aneddotica, che in qualche circostanza elementi di stimolazione complessa possono essere processati in circuiti neuronali appropriati. Vi è dunque una evidenza di “covert cognitive processing” almeno in alcuni pazienti in stato vegetativo. L’unica conclusione possibile è che, allo stato attuale delle conoscenze, non sappiamo se tutti i pazienti in tale stato siano completamente incoscienti”.

A Bologna Piperno sta conducendo con un gruppo di neuroradiologi uno studio in questa direzione. Da giugno 2005 a oggi il gruppo ha studiato con risonanza magnetica funzionale (senza però fare il controllo coi volontari sani come nello studio inglese) 9 pazienti (4 donne e 5 uomini) di età compresa tra 14 e 43 anni in diversi gradi di coma o stato vegetativo. “In ciascun paziente è stato eseguito lo studio di attivazione, sottoponendo i pazienti all’ascolto di storie di voci familiari, all’ascolto della stessa voce in reverse e infine all’ascolto di voce familiare. I dati confermano la presenza in alcuni pazienti di l’attività di circuiti cerebrali che sono alla base di funzioni cognitive. In particolare, in uno di essi, l’attivazione di un’area corticale in regione insulare dimostra anche un coinvolgimento emozionale da parte del paziente”.

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