Insegnare scienze alla scuola dell’infanzia

Tecnoscienza (a cura di)
Facciamo che eravamo scienziati
Scienza Express 2011, pp. 75, euro 16,00

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Abolite i paroloni, i termini tecnici, le definizioni complesse. Il “prisma ottico triangolare” deve diventare  “una speciale casetta di cristallo che tira fuori i colori della luce” e lo scienziato va descritto come “una persona curiosa che guarda dappertutto con gli occhi bene aperti”. E’ il primo consiglio che il gruppo di comunicatori scientifici riuniti nell’associazione Tecnoscienza si sente di dare agli insegnanti delle scuole materne che vogliano avvicinare i loro piccoli allievi alla scienza. I bambini non conoscono lo “scientifichese”, parlano un’altra lingua piena di vocaboli che gli adulti fanno di tutto per evitare. Ebbene sono proprio quelle le parole che bisogna rispolverare per trovare la traduzione giusta, quella capace di svelare in un attimo il significato che si nasconde dietro a un suono prima incomprensibile.
 
Forte dell’esperienza maturata in centinaia di laboratori in tutta Italia con migliaia di bambini dai 3 ai 6 anni, l’associazione pubblica con la casa editrice Scienza Express un delizioso manuale con tanti, divertenti e ben congegnati esperimenti per vincere una sfida non facile: insegnare ai piccolissimi il metodo scientifico ancora prima dell’alfabeto.

Non vogliamo essere fraintesi. Il libro non ha niente a che vedere con i diffusi vademecum per intrattenere bambini curiosi, non è un semplice elenco di attività di laboratorio da riproporre entro le mura domestiche o scolastiche. E’ molto di più, anche se gli autori non ne fanno un vanto: è a tutti gli effetti un saggio pedagogico pratico ed essenziale che intelligentemente rinuncia a cattedratiche disquisizioni sulle modalità dell’apprendimento infantile per rivelarci subito con snelli suggerimenti i pochi ma fondamentali principi che servono per comunicare con le giovanissime menti. Una guida ragionata che indica agli insegnanti, passo dopo passo, cosa fare e cosa non fare. Operazione inedita qui da noi, dove il pragmatismo è spesso snobbato, ma sperimentata con successo nei paesi anglosassoni.

Poche regole prima di avventurarsi con la sperimentazione. Oltre a imparare la lingua dei bambini, all’insegnante viene suggerito di costruire uno spazio-laboratorio separato dalle altre attività, un luogo “istituzionale” destinato al “momento della scienza”, una zona, varcata la quale, si “diventa scienziati”. Perché i bambini amano i simboli, trovano sicurezza nei rituali e sono anche convinti che l’abito faccia il monaco. Ben vengano quindi i camuffamenti: camici bianchi, occhiali, lenti di ingrandimento e tutti gli accessori che giustifichino il nuovo appellativo di “scienziato Marco”, “scienziata Sara” e “scienziata maestra”… Indossati i nuovi panni può iniziare l’attività scientifica vera e propria.

Le schede degli esperimenti sono il cuore del libro. Indicano tutto ciò che l’insegnante deve dire e fare e gli eventuali errori che può commettere. Le tappe sono ben precisate: si parte con “la domanda clic” che scatena la curiosità dei bambini (per esempio: la pallina galleggia o non galleggia?), si passa per un preambolo (“cosa puoi dire tu”) dove sono suggerite espressioni e immagini da evocare prima che tutto inizi, si affronta “il procedimento” e si conclude con la sezione “cosa dice la scienza” dove è enunciato il principio scientifico coinvolto nell’esperimento. Il tutto facendo attenzione a non scivolare sulle pericolosissime “bucce di banana”, le cose da non fare, le azioni che traggono in inganno, i passaggi a cui prestare maggiore attenzione. Un esempio? “Dire che l’acqua che calda va verso l’alto perché è più leggera dell’acqua fredda è improprio in quanto non si tratta di un fenomeno legato al peso, ma alla minore densità”. Così lo scivolone è evitato e la corretta informazione è salva!

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