Vita

L’intelligenza dei polpi, cervelloni da mezzo miliardo di neuroni

Si orientano in semplici labirinti, ci riconoscono e sviluppano simpatie e antipatie, mettono in atto comportamenti adattivi inaspettati, come spegnere le lampadine lanciando forti getti d’acqua. Sono i polpi. E sono quanto di più vicino all’incontro con un alieno intelligente ci possa mai capitare.

Altre Menti è il libro di Peter Godfrey-Smith pubblicato nella collezione Animalia di Adelphi. L’autore, professore di storia e filosofia della scienza all’Università di Sidney, fa dell’etologia un coinvolgente discorso filosofico sulla coscienza ripercorrendo a tappe l’albero della vita e identificando nei cefalopodi “un’isola di complessità mentale nel mare degli invertebrati”. Uniti da un antenato comune solo per un breve periodo evolutivo, i due sottotipi del regno animale, vertebrati e invertebrati, hanno visto i loro destini dividersi 600 milioni di anni fa, quando sulla Terra comparvero i bilateri, piccoli vermi piatti con un primordiale accenno di sistema nervoso che strisciavano sui fondali marini tra spugne e meduse. Da lì in poi la filogenesi ha come protagonisti due gruppi evolutivi distinti: uccelli e mammiferi da una parte, in corsa per la messa a punto di un sistema nervoso centrale, e i molluschi dall’altra. Tra questi, i polpi sembrano essere l’esito migliore di un esperimento indipendente nell’evoluzione di grandi cervelli e comportamenti complessi. Costringendoci ad abbandonare il tradizionale binomio mente-corpo a cui siamo abituati.

Decisioni in punta di tentacolo

Peter Godfrey-Smith, Altre menti, Adelphi, 2018,          pp. 303. Euro: 22.00.

Con un fascio di nervi che attraversa tutto il corpo e un crogiolo di neuroni sparsi ben oltre il cervello, i polpi assaggiano, si mimetizzano, curiosano e talvolta decidono in punta di tentacolo. Un sistema complesso programmato da 500 milioni di neuroni, più o meno lo stesso numero presente nel cervello di un cane. Non abbiamo però ancora nessuna testimonianza di polpi da riporto, anche se le predizioni calcistiche del polpo Paul ai mondiali del 2010 ci hanno stupito quasi più delle prodezze degli amici a quattro zampe.

Ma a cosa servono mezzo miliardo di neuroni? Un’ipotesi è la tecnica di foraggiamento, che nei polpi sarebbe di tipo estrattivo. I polpi, infatti, passeggiano solitari tra le conchiglie, raccolgono, schiacciano e aprono gusci, si ingegnano per tirar via la preda dalla conchiglia nel modo più rapido ed efficiente. Un lavorio intellettuale molto più impegnativo di quello richiesto da un foraggiamento di tipo selettivo. Pensiamo a una rana, per esempio. Cattura insetti al volo e, qualunque siano le circostanze in cui si trova ad agire, la sua tecnica resterà invariata. I polpi, invece, come alcune specie di mammiferi, sono costretti a modificare il proprio comportamento a seconda delle variabili presenti in ogni battuta di caccia: una differenza apparentemente piccola che ci porta dritti nel campo della psicologia dell’apprendimento, e da lì, con un balzo più o meno piccolo, ai discorsi sulla mente.

Cosa si prova a essere polpi?

Che cosa si prova a essere un pipistrello?, chiedeva il filosofo Thomas Nagel. Che cosa si prova a essere un polpo?, ci viene da pensare leggendo Godfrey-Smith. E quasi quasi, passando in rassegna racconti e aneddoti dai laboratori di biologia marina, ci verrebbe da dire che rinascere polpi ci assicurerebbe una gran bella dose di sensibilità. Solo, sentiremmo ciò che ci sta intorno con modalità e meccanismi totalmente differenti da ciò che siamo abituati a vivere da esseri umani. E al discorso interiore, essenziale e necessario per apprendere, scegliere, decidere, esistere, sostituiremmo un incessante flusso cromatico (i polpi cambiano colore fino a 117 volte all’ora) portatore di significati privati, ancora tutti da decodificare. Ed è qui che il libro Altre Menti abbandona il campo della biologia per diventare pura speculazione filosofica: se accettiamo che animali così distanti da noi nell’albero della vita hanno una mente, cosa resta a noi umani? Cos’è, quindi, che ci rende umani? Forse solo la consapevolezza di fare parte di un sistema complesso in cui ogni elemento, mente compresa, si sviluppa su un continuum in costante evoluzione.

Simona Perrone

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