Investire in agricoltura per sfamare il pianeta

Investire in innovazione e tecnologie agricole nei paesi in via di sviluppo, in particolar modo in Africa, dove l’80 per cento della popolazione vive in fattorie, può contribuire significativamente a diminuire la fame e la povertà. Inoltre può aiutare a salvaguardare la biodiversità ambientale e ad affrontare i cambiamenti climatici in corso. È quanto afferma il rapporto appena rilasciato dal Worldwatch InstituteState of the World 2011: Innovations that Nourish the Planet“.

Il documento, oltre a fornire una roadmap per i governi e le ong, stilata in 15 punti con l’aiuto di alcuni esperti in materia, riporta diversi casi studio in cui l’innovazione ha impedito lo spreco di cibo, ha avuto un effetto di resilienza nei confronti dei cambiamenti climatici, ha rafforzato le pratiche agricole nelle città e ha valorizzato il ruolo delle donne.  

Il rapporto dà anche indicazioni per concentrare gli sforzi in progetti ecologicamente sostenibili, che si sono già dimostrati efficaci nell’alleviare fame e povertà. “Ancora 925 milioni di persone nel mondo sono denutrite, e il 33 per cento dei bambini africani soffre la fame”, ricorda il documento. Dalla metà degli anni ’80, quando i fondi per l’agricoltura hanno raggiunto il loro massimo, la quota di aiuti stanziati per lo sviluppo globale in questo settore si è ridotta progressivamente (dal 16 al 4 per cento), e molti finanziamenti non vengono utilizzati in maniera efficiente.

“Nei suoi tentativi di ridurre la fame e la povertà, la comunità internazionale ha ignorato interi segmenti del sistema alimentare”, ha spiegato Danielle Nierenberg, condirettore del Worldwatch’s Nourishing the Planet project. “La risoluzione del problema non dipende necessariamente ed esclusivamente dal produrre più cibo, ma anche dal modificare i programmi alimentari per i bambini nelle scuole, o il sistema in cui vengono processati gli alimenti”. Servire pasti a base di colture locali nelle scuole, per esempio, si è dimostrato efficace nel ridurre sia la sottonutrizione sia l’indigenza in molte nazioni africane.

Questo non è il solo esempio di “buona pratica” riportato nel rapporto. Nel 2007, 6.000 donne in Gambia hanno creato l’associazione TRY Women’s Oyster Harvesting e hanno realizzato un piano sostenibile di management per la pesca locale, soprattutto di ostriche, in grado di evitare il sovrasfruttamento delle risorse ittiche. A Kibera invece, il più grande slum di Nairobi e di tutto il Kenya, oltre mille donne coltivano orti verticali in sacchi di immondizia per nutrire le loro famiglie. Questo sistema sembra avere la potenzialità di nutrire migliaia di persone e rappresenta una sostenibile fonte di reddito per gli agricoltori cittadini. In Sud Africa e in Kenya invece, i pastori stanno compiendo un’opera di conservazione delle varietà locali di bestiame adattate alle nuove condizioni ambientali. Infine, il programma Developing Innovations in School Cultivation (DISC), in Uganda, ha integrato nei curricula scolastici la coltivazione di vegetali locali, l’educazione alimentare e la cucina tradizionale.

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