Juice, la missione per esplorare le lune di Giove sta per cominciare il suo lungo viaggio

Ci siamo quasi: tra poco più di un mese dallo spazioporto europeo di Kourou, nella Guyana francese, decollerà, a meno di slittamenti dell’ultimo minuto, la missione Juice, progetto con cui l’Agenzia spaziale europea (Esa), insieme ad altri partner, ha intenzione di studiare i cosiddetti satelliti galileiani, ovvero le tre lune ghiacciate di Giove, così chiamate proprio perché osservate per la prima volta dal genio pisano nel 1610. In particolare, l’obiettivo più ambizioso e suggestivo di Juice (che è l’acronimo di Jupiter Icy Moons Explorer) è di cercare di comprendere se i satelliti galileiani sono un ambiente in cui potrebbero esistere, o potrebbero essere esistite, delle forme di vita, proprio in virtù della (certa) presenza di acqua ghiacciata sulla loro superficie e della (presunta) presenza di acqua salata liquida nello strato sotterraneo.


Il James Webb Telescope fotografa lo spettacolo delle aurore su Giove


Una missione molto italiana

C’è molta Italia su Juice: in attesa di assistere al lancio, Wired ha avuto l’occasione di visitare lo stabilimento di Campi Bisenzio, vicino Firenze, nelle cui camere bianche sono stati costruiti alcuni degli strumenti chiave della missione. A occuparsene è stato il gruppo Leonardo, con il finanziamento e il coordinamento dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e la supervisione scientifica dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), e il gruppo Thales Alenia Space. Prima di raccontare cosa sono e cosa faranno questi strumenti, vediamo però un rapido recap della missione, cominciando dalla destinazione. Giove, il pianeta più grande del Sistema solare (c’è chi lo definisce stella mancata, proprio per le sue dimensioni), ha (almeno) 79 satelliti naturali: tra questi, IoEuropaGanimede e Callisto sono i più grandi e interessanti. Io è il più vicino a Giove dei quattro, è coperto di composti di zolfo e prodotti lavici ed è il corpo vulcanicamente più attivo del Sistema solare, a causa dell’enorme gravità del pianeta attorno al quale orbita. Tuttavia, non fa parte degli obiettivi di Juice, per ragioni tecniche: “Per quanto Io sia estremamente interessante – ha spiegato Giulio Pinzan, che fa parte del team dei controllori di volo di Juice per Esa – non sarà ‘visitato’ da Juice: non è una luna ghiacciata, e poiché è molto vicino a Giove ha un campo magnetico troppo forte, che metterebbe in difficoltà gli strumenti a bordo”. Diverso il discorso per le altre tre lune: Europa, Ganimede e Callisto sono lune ghiacciate, e si pensa che sotto la crosta di Europa si nasconda un oceano di acqua salata liquida, il che potrebbe renderlo – almeno in linea di principio – un buon candidato per ospitare (o aver ospitato) forme di vita.** **Ganimede, dal canto suo, è il satellite più grande del Sistema solare, ed è dotato di un’intensa attività tettonica, anch’essa dovuta all’interazione gravitazionale con Giove; e anche Callisto, un corpo bucherellato di crateri, potrebbe ospitare degli oceani sotterranei di acqua salata liquida.

La missione: le tappe e le sfide

La missione è estremamente impegnativa, per varie ragioni. Anzitutto la distanza della meta: tra Giove e la Terra ci sono (in media) circa 700 milioni di chilometri, il che comporta una serie di difficoltà non indifferenti di navigazione (cioè indirizzare la sonda sulla rotta giusta), di comunicazione (inviare e ricevere i segnali impiega più di un’ora e mezzo, quindi il veicolo deve essere più autonomo possibile) e di energia (la distanza dal Sole è tale che l’energia raccolta dai pannelli solari è appena il 4% di quella che si raccoglierebbe sulla Terra). C’è poi il problema delle escursioni di temperatura – Juice passerà da 125 °C a -230 °C, e tutti i suoi strumenti devono essere in grado di resistere a questo sbalzo termico – oltre a quello dei raggi cosmici e del già citato forte campo magnetico. Ciononostante, i suoi progettisti sono convinti che si può fare: “Dopo il decollo del razzo che porterà Juice nello Spazio [un Arian V, nda] – continua Pinzan – la sonda impiegherà circa otto anni per raggiungere Giove. La distanza dal pianeta è tale che ci sarà bisogno di quattro manovre di fionda gravitazionale (tre sulla Terra, una su Venere) per lanciare Juice sulla traiettoria giusta. Se tutto va come previsto, raggiungerà Giove nel luglio 2031; se mesi prima di entrare in orbita, inizietrà la fase scientifica nominale”. La sonda trascorrerà molti mesi in orbita attorno a Giove, completando 35 fly-by attorno a Europa, Ganimede e Callisto e infine, nel 2034, entrando nell’orbita di Callisto e diventando così il primo satellite artificiale a orbitare attorno alla luna di un altro pianeta.

Gli strumenti a bordo

Come dicevamo, molta della tecnologia a bordo di Juice è italiana, frutto della collaborazione tra accademia, enti di ricerca e privati. Uno degli strumenti che abbiamo avuto occasione di vedere (o meglio, il suo clone usato per i test, dato che l’originale si trova già a Kourou) si chiama Janus, ed è una camera ad alta risoluzione per il monitoraggio dell’atmosfera di Giove e per lo studio approfondito delle sue lune ghiacciate. Ha una risoluzione tale da poter osservare una pallina da tennis da un chilometro di distanza, ed è dotato di una ruota con 13 filtri di colori diversi, il che permetterà al suo occhio di rilevare concentrazioni di elementi chimici diversi (per esempio il rosso potrà rivelare la presenza di metano e il giallo la presenza di sodio). La controparte di Janus, che in sostanza è un enorme teleobiettivo, si chiama Majis, frutto di un accordo bilaterale tra Asi e Cnes, ed è una camera iperspettrale che consente di osservare e caratterizzare nubi, ghiaccio e minerali sulle superfici delle tre lune: è costituito da due strumenti in uno che coprono complessivamente il range dal visibile al medio infrarosso, ed equivaale ad avere 1016 macchine fotografiche ognuna delle quali cattura l’immagine in un siongolo colore. Combinando opportunamente queste immagini è possibile identificare i minerali che compongono la superficie dei corpi solidi e i gas presenti nelle loro atmosfere, misurandono anche densità, temperatura, movimenti e così via. Degni di menzione sono anche i pannelli fotovoltaici di Juice, i più grandi mai realizzati per una missione interplanetaria (una volta dispiegati avranno una superficie totale di circa 85 m2), e gli strumenti Rime (un radar in grado di rilevare la struttura interna degli strati ghiacciati) e 3GM, un occhio che riesce a scrutare ancora più in profondità analizzando le variazioni nel campo gravitazionale.

Immagine: Esa
Via: Wired.it