La raffineria della discordia

A più di un anno dall’incidente che causò la morte di due operai, la raffineria Api di Falconara Marittima, in provincia di Ancona, cerca di riconciliarsi con la cittadinanza e gli ambientalisti, che ne chiedono la chiusura. Il primo passo è stato, un paio di settimane fa, la presentazione di un rapporto sull’impatto ambientale dello stabilimento, che prevede anche un programma di ristrutturazione e investimenti nel campo della sicurezza e della riduzione dell’inquinamento. A questo si è aggiunto l’annuncio della imminente attivazione dell’Igcc (Impianto integrato di cogenerazione e gassificazione a ciclo combinato), una centrale in grado di produrre energia elettrica “pulita” utilizzando scarti della raffinazione del greggio. “Oggi con la pubblicazione del rapporto abbiamo espletato gli impegni assunti”, sostiene Clemente Napolitano, amministratore delegato della raffineria, “ora siamo pronti per gestire la raffineria del futuro, quella raffineria bianca che con l’entrata a regime dell’Igcc nel 2001 rappresenta il traguardo definitivo del processo di trasformazione avviato da tempo”.

Ecologisti e i cittadini sono serviti: la ristrutturazione dei sistemi di sicurezza, afferma l’Api, è in linea con le indicazioni della Regione Marche, prevedendo la ristrutturazione delle sale pompe, la rilocazione dei depositi di benzina sul fronte mare e la riorganizzazione del sistema di primo intervento (istituzione di una struttura permanente di “Servizi di Prevenzione e Antincendio”). Inoltre, nell’arco del 1999, sono state effettuate 11 mila ore di formazione del personale su sicurezza e ambiente. Infine, secondo il rapporto, i livelli di inquinamento sarebbero al di sotto della media nazionale: riduzione del 39% delle emissioni di anidride solforosa negli ultimi tre anni, del 12% degli ossidi di azoto in quattro anni, del 7% dei composti organici volatili negli ultimi quattro anni, del 9% delle polveri negli ultimi quattro anni e del 7% del monossido di carbonio.

Eppure, c’è chi non si accontenta e dubita delle affermazioni dell’Api: “La cosa curiosa è che una settimana prima della presentazione del Rapporto la magistratura ha sequestrato i cantieri nei dintorni della raffineria perché ha trovato livelli di inquinamento da idrocarburi nel suolo al di sopra della legge” afferma Franco Ferroni, segretario regionale Wwf per le Marche. “Inoltre, è abbastanza singolare che l’Api abbia avuto la possibilità di inserire la costruzione della nuova centrale nel programma di conversione di energie alternative”, dice Ferroni, “quando in realtà di alternativo c’è molto poco, perché la fonte è sempre petrolio, quindi combustibili fossili”.

Gli sforzi della compagnia petrolifera non rassicurano affatto i cittadini e le associazioni ambientaliste, più che mai fermi sul fronte della dismissione dell’impianto, che si trova a ridosso di due quartieri residenziali. Lo stabilimento è anche attraversato dalla ferrovia e pericolosamente sorvolato dagli aerei in arrivo e in partenza dall’aeroporto di Ancona. Non a caso, nel 1992 il Ministero dell’Ambiente classificò la zona come area a rischio rilevante di incidente. Ciò significa che in seguito a un incidente anche limitato può scattare il cosiddetto “effetto domino”, una sorta di reazione a catena con effetti devastanti sulla vita di oltre 100 mila persone. Va detto che nel 1996 l’Api è stata la prima raffineria a mettersi in sicurezza in base alla Direttiva Seveso. Questo però non è bastato ad impedire l’incidente avvenuto il 25 agosto del 1999, né gli alti livelli di inquinamento da ossidi di azoto verificatesi in alcuni periodi nell’aria di Falconara.

“Questa centrale turbogas”, continua Ferroni, “non fa altro che peggiorare le condizioni ambientali, visto che si inserisce nella bassa Vallesina, dove già si sta progettando una centrale turbogas a Yesi e ne esiste una a Camerata Picena”. Tra gli insediamenti industriali, i depositi di gas liquido, l’aeroporto, di cui già è previsto un potenziamento in termini di superficie e di numero di voli, la ferrovia che taglia in due la raffineria, il rischio ambientale in effetti è enorme. Ma l’Api è convinta di contribuire all’inquinamento solo in misura minima. E che tutte le infrastrutture presenti possano convivere grazie ad aggiustamenti di carattere strutturale: spostare la pista, intervenire sull’aeroporto in modo che la rotta di atterraggio non passi sulla raffineria o spostare la ferrovia verso Chiaravalle. Ma la partita tra la cittadinanza e l’azienda petrolifera, che è appoggiata dai sindacati, è ancora aperta. Dalla loro gli oppositori della raffineria hanno la promessa fatta in campagna elettorale dalla coalizione di centro sinistra, ora al governo regionale, di far chiudere l’impianto. E Verdi e Rifondazione hanno minacciato di provocare una crisi se non si manterrà l’impegno.

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