La storia non è lineare

Manuel De Landa
Mille anni di storia nonlineare. Rocce, germi e parole
Instar libri, Torino, 2003
pp.309 + LXXI, euro 18,60

L’autore di questo volume era già noto al pubblico italiano per un denso volume uscito nel 1996 per Feltrinelli – “La Guerra nell’era delle macchine intelligenti” –,una sorta di teoria darwiniana sui dispositivi elettronici, riprendendo l’idea di un “philum macchinico” analogo alla discendenza biologica che si riscontra negli organismi viventi. Questo nuovo lavoro va oltre, e si estende aldilà delle macchine per comprendere la storia della società occidentale. L’idea forte che sostiene il volume è che la storia non sia un processo lineare, ma piuttosto il risultato di dinamiche talmente complesse da risultare imprevedibili, in cui una minima variazione può avere effetti di vasta portata. De Landa opera quindi un trasferimento concettuale, estendendo alla storia le riflessioni di altre discipline che sono confluite in quel magma culturale che va sotto il nome di “scienze della complessità”. Il suo studio è dunque frutto di uno sforzo interdisciplinare, che mette insieme scienze naturali e sociali, proponendo una nuova filosofia della storia, per ora focalizzata principalmente sull’ambiente urbano della cultura europeo-americana, dal medioevo all’oggi.

Le tre parole del sottotitolo sono le chiavi interpretative per le tre sezioni del volume. La prima ha valore soprattutto metaforico: la storia dell’economia urbana è associata alle rocce, alla geologia, perché “si occupa esclusivamente di elementi dinamici (flusso di energia, causalità nonlineare) che abbiamo in comune con rocce, montagne e altre strutture storiche non viventi” (p.10). I fenomeni sociali possono quindi essere studiati con un bagaglio concettuale simile a quello del geologo: “le società umane manifestano profonde analogie con i flussi di lava, e le strutture prodotte dall’uomo (città e istituzioni mineralizzate) hanno molto in comune con rocce e montagne: accumulazioni di materiali induriti e plasmati da processi storici” (p.55). Il lettore che non si è fatto spaventare da questa “naturalizzazione” troverà ancor più affascinante la seconda sezione, in cui l’ambiente urbano è considerato alla stregua di un ecosistema. Dal non vivente al vivente, non più magma e rocce ma materiale organico: cibo, esseri umani, animali (e i loro geni). Nella regolazione e nel controllo di questi flussi di materia vivente (anche sotto forma di malattie, per esempio) De Landa trova le basi su cui si è fondata la società occidentale nella forma che conosciamo.

La terza sezione assegna alla civiltà urbana il ruolo di incubatore linguistico: “i suoni, le parole e le costruzioni sintattiche che compongono il linguaggio si sono ammassati entro le mura delle città medievali (e moderne) e sono stati trasformati dalla dinamica urbana” (p.11). Dunque i flussi divengono sempre più immateriali, ma anche di notevole importanza: il latino parlato, all’interno delle città – dove è possibile una parziale sedimentazione – imbocca strade nuove, dando origine al francese, all’italiano, al portoghese, allo spagnolo, al rumeno (e alle loro innumerevoli varietà). Anche in questo caso, la nascita della civiltà urbana è segnata dalla creazione di istituzioni per regolare questi flussi. Il respiro politico è quindi evidente (erede della tradizione di Deleuze e Braudel), soprattutto nelle pagine dedicate alla società contemporanea e ai diversi strumenti di controllo che essa si è data. Pubblicato nella collana Antenne, nella quale è già uscito “L’economia della farfalla” di Paul Ormerod, il volume è corredato da un grande apparato di note, che consente al lettore di muoversi autonomamente dopo la lettura. Alcune argomentazioni, e in particolare l’utilità di certe metafore scientifiche applicate alla società, sono discutibili; ma per un saggio di questo tipo, è sicuramente un pregio.

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