Leo Szilard, la voce inascoltata dei delfini

Si parla, in questo libro, di invasione americana dell’Iraq, di sondaggi fatti fare dal governo Usa allo scopo di indirizzare le proprie scelte politiche, del sempre crescente ruolo svolto dalla stampa nell’influenzare la pubblica opinione. Si parla dei rischi connessi ai problemi irrisolti nell’area mediorientale, di una Russia che lega il suo futuro allo sviluppo dell’industria dei beni di consumo. E ancora: della fragilità del sistema bipartitico americano dove un’esigua minoranza può imporsi a tutto il paese spostando il proprio voto; di “agenzie speciali” connesse con l’Onu che utilizzano somme di denaro per corrompere i membri di vari governi; di atteggiamento “moralmente corretto” inteso come tutto ciò che coincide con la politica governativa; di opinionisti che discettano e di scuole di pensiero che si combattono… e di tanti altri temi che ci toccano drammaticamente da vicino. Dunque una nuova analisi panoramica dei nostri tempi? Nient’affatto: si tratta invece, e sorprendentemente, di alcuni brevi scritti di carattere fantascientifico – di essi il più lungo, La voce dei delfini, è quello che dà il titolo alla raccolta – composti tra il 1947 e il 1960 dal fisico ungherese naturalizzato americano Leo Szilard, che sarebbe morto di lì a poco.

leo slizard la voce dei delfini

Usciti in Italia per la prima volta negli anni Sessanta, sono ora meritoriamente riproposti all’attenzione dei lettori, nella traduzione di Rosangela Torella, da Emanuele Vinassa de Regny, a cui si deve l’esaustiva introduzione sulla vita ricca di vicende e sul multiforme ingegno di questo grande scienziato, che fu amico di Einstein e collaboratore di Fermi al Progetto Manhattan. Progetto che Szilard abbandonò non appena capì che la bomba atomica sarebbe stata usata, a Germania sconfitta, contro il Giappone. Fallito il tentativo di persuadere il presidente Roosevelt a rinunciare al bombardamento, Szilard, pacifista convinto, accantonò la fisica per dedicarsi alla biologia e alle scienze sociali.

La voce dei delfini appartiene a un genere letterario poco frequentato, almeno dalle nostre parti, e di difficile definizione. Non si tratta di veri e propri racconti: quasi assenti i personaggi e ogni forma di caratterizzazione psicologica, assenti le descrizioni, così come la ricerca di qualsivoglia orpello letterario. È evidente che l’interesse primo dell’autore è per l’idea e che, per convogliarla, egli si limita a rivestirla qua e là di immagini e soprattutto utilizza il godibile strumento di un’ironia graffiante e sorniona. Confluiscono, in queste pagine, l’attitudine dello scienziato a selezionare e analizzare i dati significativi di un contesto e il suo interesse per le dinamiche sociali. Gli elementi fantastici sono sempre ancorati al reale, e questo spiega la quasi inquietante, direi profetica, previsione di tanti aspetti del mondo in cui oggi viviamo.

Il lettore “antico”, quello che lesse il libro al suo primo uscire negli anni Sessanta, troverà di interesse ora non tanto il lato “fantascientifico” (modesto, considerate le spettacolari invenzioni letterarie e cinematografiche del genere nel corso di questi decenni), quanto il verificare in quale misura sia possibile (e direi doveroso) pre-descrivere il futuro sulla base di un presente lucidamente osservato. I lettori più giovani avranno il piacere di scoprire un personaggio non adeguatamente noto (che ebbe tra i suoi meriti anche quello di essere stato uno dei fondatori del Pugwash, movimento di scienziati per il disarmo). E, condotti con mano leggera, tra invenzioni di delfini che guidano la politica degli umani, di piatti masticanti e quant’altro, attraverso pagine percorse da un umorismo sempre sorretto da intelligenza critica, si riconosceranno in buona misura in quel futuro descritto cinquanta anni fa, e rifletteranno su quello che li attende.

Come non accorgersi, infatti, che i problemi che più preoccupavano Szilard, sono ancora tutti lì, con le loro potenziali micidiali conseguenze? Solo alcuni esempi: se qualche risultato è stato raggiunto per quanto riguarda la non proliferazione delle armi nucleari, che dire delle 480 bombe atomiche americane tuttora presenti in Europa (di cui 90 solo in Italia)? E che dire di un progresso tecnologico dissennato che, se non ci ha ancora portato a farci estrarre tutti i denti o l’esofago perché considerati superflui, ci induce a compiere quotidiani sprechi e sciocchezze? Ancora, possiamo oggi dichiarare la scienza esente da colpe o non condividiamo piuttosto l’approccio di Szilard, misto di diffidenza e ammirazione? E comunque, non riconosciamo con lui la superiorità della scienza sulla politica, dal momento che la prima mira a spiegare non a persuadere, laddove la seconda, oggi più che mai, a convincere senza spiegare?

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