A distanza di quattro mesi dal sisma dell’11 marzo, la catastrofe di Fukushima continua a pesare sulle spalle del Giappone. La situazione all’interno della centrale nucleare, sfuggita al controllo dei tecnici dopo il lungo blackout causato dallo tsunami, non è ancora tornata sotto controllo. Secondo i piani della Tepco, il raffreddamento del combustibile rimasto sul fondo dei reattori danneggiati dovrebbe essere completato nel 2012. Tuttavia, le crescenti difficoltà operative incontrate dai tecnici durante gli ultimi mesi (vedi Galileo: Fukushima sull’orlo del collasso) non fanno sperare nulla di buono.
La contaminazione dei terreni agricoli
Nel frattempo, gli esperti iniziano a valutare l’entità dei primi danni ambientali causati dalla fuoriuscita di materiale radioattivo liberato durante l’esplosione del reattore numero tre. Secondo uno studio preliminare, (verrà pubblicato per esteso ad agosto su Radioisotopes) condotto dalla fisioradiologa Tomoko Nakanishi, il grano coltivato nel raggio di 30 km dalla centrale è stato contaminato da cesio 134 e 137. Gli elementi radioattivi avrebbero raggiunto i raccolti tramite le abbondanti piogge cadute dopo il disastro. I dati raccolti da Nakanishi dimostrano infatti che le piante sviluppatesi prima del fallout avevano raggiunto livelli di contaminazione altissimi, compresi tra 1000 e 1 milione di Bequerel per kilogrammo (Bq/kg).
La granella derivata da queste piante supera abbondantemente il limite massimo di 500 Bq/kg, e dovrà perciò essere distrutta. Tuttavia lo stesso non vale per le coltivazioni che hanno esposto la spiga dopo il picco del fallout. Per le piante più tardive, infatti, sono stati registrati livelli di cesio 134 e 137 inferiori, pari a circa 300-500 Bq/kg. Altre colture come la patata e il cavolo hanno invece registrato picchi molto bassi, non superiori a 9 Bq/kg. Ma se la maggior parte dei contaminanti potrà essere facilmente rimossa dalla superficie di alcune piante, lo stesso non varrà per il suolo.
Un secondo studio condotto da Tomoya Yamauchi, radiologo dell’Università di Kobe, ha infatti rilevato una massiccia presenza di radioisotopi negli strati più superficiali di alcuni terreni agricoli. Il cesio 134 e 137 si sarebbe accumulato nei primi 5 cm di suolo, raggiungendo un livello di contaminazione allarmante per almeno quattro siti localizzati fuori dal raggio di 30 km della zona di evacuazione. In particolare, presso la città di Fukushima, situata a 60 km dalla centrale, sono stati trovati dei campioni con radioattività pari a 47 mila Bq/kg, ben oltre il limite massimo di esposizione per gli esseri umani di soli 10 mila Bq/kg.
I radioisotopi raggiungono i banconi dei supermercati
Il 17 luglio, i cittadini di Tokyo sono stati scossi da una seconda brutta notizia. La catena Aeon ha infatti annunciato di aver venduto nei propri negozi, tra aprile e giugno, almeno 320 kg di carne contaminata. I capi bovini in questione, come riporta il quotidiano inglese The Guardian, erano stati allevati in una fattoria di Asakawa, nei pressi di Fukushima, dove gli animali erano stati nutriti con paglia di riso ad altissimo contenuto di cesio 137 (500 mila Bq/kg). Il livello di contaminazione radioattiva delle carni macellate era pari a 2400 Bq/kg, quasi cinque volte sopra il limite massimo imposto dalle autorità sanitarie.
In seguito alla tardiva segnalazione da parte della Aeon, il governo giapponese ha chiuso le porte del mercato nazionale a tutte le carni provenienti dall’area di Fukushima (il 3% dei capi allevati in Giappone), e ha avviato un programma di monitoraggio esteso a tutti gli allevamenti del paese. Gli operatori sanitari dovranno infatti verificare l’eventuale presenza di altri mangimi contaminati, in modo da bloccare le partite di carne sospette. Il fatto, poi, che gli effetti nocivi causati dal consumo di cibo contaminato da cesio radioattivo non siano ancora del tutto chiari, ha indotto la popolazione giapponese a diffidare di alcuni alimenti considerati a rischio come tè, verdure, latte e pesce.
Nonostante i dati raccolti negli ultimi mesi, gli scienziati devono ancora valutare il reale impatto sull’ambiente causato dalla fuga radioattiva di Fukushima. Di certo, il cesio 137 rimarrà in circolazione per almeno 30 anni prima di dimezzare la propria carica radioattiva. In un simile scenario a lungo termine, saranno necessari dei programmi di monitoraggio per tracciare la diffusione dei radionuclidi nell’ecosistema e nella complessa rete alimentare che porta da piante e animali fino all’uomo.
Il prezzo da pagare per mettere in sicurezza Fukushima
Durante il mese di giugno, l’arrivo del tifone Songda sulle coste del Giappone ha causato non pochi problemi alle squadre di ingegneri impegnate all’interno della centrale. Le abbondanti piogge hanno causato numerosi allagamenti alla base degli edifici, accrescendo il pericolo di crolli e fughe di liquidi radioattivi. Il piano varato dalla Tepco prevede di raffreddare completamente il combustibile rimasto nei reattori entro gennaio 2012, in modo da poter avviare le decennali procedure di rimozione e smaltimento del materiale radioattivo. Ma i lavori di messa in sicurezza dell’impianto potrebbero subire un ulteriore slittamento dovuto alla costruzione di una copertura d’emergenza per il reattore tre, minacciato dall’imminente arrivo del tifone Ma-on.
La crisi di Fukushima sembra insomma non avere mai fine, come dimostrano anche le innumerevoli difficoltà che mettono costantemente sotto pressione i 3000 tecnici che dovrebbero realizzare le opere di recupero dell’impianto. L’85% degli operai richiesti dalla Tepco è costituito da lavoratori esterni, assunti tramite agenzie di subappalto dietro compensi minimi (appena 90 euro per ogni giorno di lavoro all’interno della centrale). Anchorché basse, le paghe hanno comunque attirato a Fukushima migliaia di disoccupati e precari del settore disposti ad esporsi ai rischi della radioattività pur di otternere uno stipendio. Molti di loro, sempre secondo The Guardian, non avrebbero neppure una preparazione idonea alla situazione.
Il lavoro all’interno degli impianti prevede turni di 90 minuti durante i quali i tecnici devono indossare pesanti tute e maschere per difendersi dalle polveri radioattive. Il caldo torrido dell’estate giapponese mette a dura prova il fisico degli operai, che hanno solo altri 90 minuti per riposarsi prima del turno successivo. Nonostante tutto, le misure di protezione non sono sufficienti ad azzerare i danni causati dalle radiazioni. Per questo motivo, il Ministero della salute ha fissato la soglia massima di esposizione a 250 Millisievert (MSv) per i tecnici Tepco e a 15-30 Msv per quelli occasionali, così da determinare un turnover molto frequente per il personale meno qualificato.
Foto Credit: Greg Webb / IAEA
come dire alla tepco senza che si offendano tali lobbi
che se occultano ancora i veri dati
le piogge acide che in verità sorvolano
zone dove i paesi educono graminacee
per le popolazioni ” fingendo che tali graminacee servono solo per benzine alternative per auto = solo per pagare meno i coltivatori di tali zone = australia e altri.. ma il tutto di questo grano e altro.. entra nelle pance di tutti nel mondo ”
quindi con tale piccolo probblema
globale ” tutti mentono ”
servono dati certi da fukushima e dintorni
quanti millisievert ora escono in verità da tali centrali
quanto plutonio si è immesso nell’atmosfera
e quanto cesio e altri
se nò il futuro dice che tali signori tepco e soci
sono colpevoli di genocidio su larga scala = mondiale = E.coli e altro
salve.
molti si chiederanno come è possibile che molte di queste coltivazioni graminaceE.
in australia predisposte per benzina ecologica sia conveniente
per fare pasta e altro (( semplice il prezzo è predisposto su una logica di mercato per quantità kg.= litro di tale benzina, quindi il tutto si dispone che per produrre un litro di benzina ecologica = ipotesi 1 euro.. equivale tra le tre o sei volte, tali quantità di graminaceE CHE SI USANO PER FARE UN kg. di pasta o altro, quindi se si prende ” il costo di un ero pari quantità graminaceE. per benzina ecologica, poi lo si divide per tre o per sei “ipotesi = costo al chilo diviene per kg.= pasta ecc.. circa venti o trenta centesimi per kg. di pasta che si crea ”
e non si debbono nemmeno fare molti controlli sanitari ” e anche i costi di gestione diventano inferiori in tale modo subdolo ” quindi occhi aperti per tali alimenti che girano nel mondo ” poco sicuri ”
ciao.