Categorie: Ambiente

Le zone morte si espandono

Le “zone morte”, ossia le aree in cui il basso livello di ossigeno rende impossibile la vita marina, sono in rapida espansione. Causa il progressivo aumento del riscaldamento su scala planetaria. L’incremento di temperatura dello strato superficiale dei mari diminuisce, infatti, la solubilità dell’ossigeno atmosferico. La conseguenza è un calo dei livelli del gas fino a 500 metri di profondità.

Gary Shaffer del Danish Center for Earth System Science (Dcess), coordinatore del gruppo di ricerca che ha coinvolto biologi, oceanografi e fisici del Meteorological Institute e del National Space Institute danesi, ha elaborato alcuni modelli sulla base dei dati dell’Intergovernmental Panel for Climate Change sull’aumento di concentrazione di CO2 atmosferica e la diminuzione dei livelli di ossigeno dall’epoca pre-industriale ad oggi. Le previsioni, pubblicate su Nature Geoscience, sono ambiziose e si spingono fino a  cento mila anni nel futuro, durante i quali l’ossigeno potrebbe diminuire fino al 90 per cento. Ma il fenomeno si sta già verificando: “L’espansione di queste aree porterebbe a un aumento di fenomeni di mortalità della fauna acquatica in molte zone, come è già accaduto al largo delle coste dell’Oregon e del Cile”, spiega  Shaffer.

Nelle aree costiere è abbastanza frequente la presenza di zone anossiche determinate dallo sversamento in mare dei fertilizzanti agricoli, che provoca un aumento innaturale della biomassa con un conseguente consumo eccessivo di ossigeno. Ma, mentre il diffondersi di questo fenomeno localizzato può essere gestito ed è reversibile, le sacche anossiche generate dal riscaldamento globale potrebbero permanere per migliaia di anni. La circolazione degli oceani, infatti, potrebbe non essere sufficiente a contrastare la loro espansione. I cambiamenti nella chimica degli oceani e nella composizione dell’atmosfera non sono prevedibili, ma questo fenomeno potrebbe dare luogo a nuovi eventi di estinzione di massa simili a quello avvenuto alla fine del Permiano, 250 milioni di anni fa. (s.s.)

Riferimenti: Nature Geoscience, DOI: 10.1038/NGEO420

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